Asmara, la Piccola Roma eritrea nella sua nostalgica aura art déco

Qual è la capitale dell’Eritrea, di questo Paese notoriamente isolato, culturalmente parlando? Cos’è, quella “Piccola Roma” africana? Se lo chiede Natasha Stallard, giornalista del The Guardian, che ci ha trovato una sbiadita atmosfera anni Trenta, l’atmosfera di un’epoca coloniale con architettura futurista – e biciclette ovunque. Ne riportiamo la traduzione: articolo originale a questo link.
Sono seduta sull’angolo di una rotonda ad Asmara, capitale dell’Eritrea nonché primo centro di colonizzazione Italiano in Africa, e la stazione di servizio Fiat Tagliero è uno spettacolo magnifico: lettere in stile art déco ne compongono il nome, sia in italiano che in aramaico, in un carattere degno della locandina di un film di Fellini, mentre due ali di cemento di 30 metri s’impongono su tutto il piazzale a partire dal garage sottostante, mimando la forma di un aeroplano. Le ali dell’edificio sono piene di quella spavalderia che viene da un’era passata della storia dell’Eritrea.
È stata costruita nel 1938 dall’architetto italiano Giuseppe Pettazzi, proprio mentre l’Europa si trovava sull’orlo della guerra e, in Italia, il primo ministro Benito Mussolini e il suo partito Fascista avevano iniziato a perseguire seriamente l’ambizione di conquistare quanta più Africa possibile.
Mussolini ereditò la colonia italiana d’Eritrea da quella “corsa all’Africa” iniziata in Europa nell’ultimo decennio dell’Ottocento. Nel 1936, Re Vittorio Emanuele III d’Italia si incoronò Imperatore d’Etiopia, titolo che non fu mai riconosciuto dalla comunità internazionale, e da un insediamento sulla costa del Mar Rosso eritreo gli italiani iniziarono la loro campagna coloniale sul Corno d’Africa. Per Mussolini, Asmara era la connessione con il suo nuovo Impero Romano – e il suo centro amministrativo della sua Orientale Italiana africana. Chiamò la città la “Piccola Roma” – la Piccola Roma d’Africa.
L’Italia fascista incoraggiò attivamente l’emigrazione in Eritrea, tanto che nel 1939, stando a un censimento di quell’anno, più della metà della popolazione di Asmara era italiana. Consegnata ai più radicali architetti d’Italia a mo’ di una tela bianca, la città diventò l’improbabile parco giochi dell’architettura futurista. Mussolini incoraggiò architetti e ingegneri italiani a trasformare Asmara in un’utopia urbana, piena di cinema, caffè, biciclette d’importazione e alberi di sicomoro.
«[Il Fiat] è la ragione per cui sono diventato un architetto. È un edificio davvero particolare. Strutturalmente è molto coraggioso. Gli ingegneri di oggi non avrebbero il coraggio di costruire un ripiano della metà delle dimensioni di quello», ha detto Mesfi Metuasu, un architetto e urbanista locale che ha lavorato con i palazzi di Asmara a partire dal 1995. Oggi, l’edificio Fiat si posiziona nel cuore di una città complicata, in un Paese complicato. Come molti altri edifici ancora in piedi nella capitale, la sua storia è stata eclissata nel corso degli anni; l’edificio è stato difficilmente accessibile a chiunque provenisse da fuori dalla città fino all’inizio degli anni Novanta.
Colonizzati dagli ottomani, dagli egizi, dagli italiani, dagli inglesi e dagli etiopi, dopo 30 anni di guerra contro l’esercito etiope di Haile Selassie, l’Eritrea ha finalmente ottenuto la sua indipendenza nel 1991. Gli edifici di Asmara, pertanto, sono stati rivelati ancora una volta al mondo – lasciando gli architetti di tutto il mondo a bocca aperta.
In qualche modo, la storia politica dell’Eritrea è stata brutale con le sue persone, ma stranamente gentile con la sua architettura. I conflitti del Paese hanno posto Asmara in una capsula del tempo: ci sono cinema art déco, stazioni di servizio futuriste, un edificio che ha la forma di una radio wireless, piste da bowling con vecchi perni di legno, pizzerie e viali costruiti per le biciclette. «Non tutti sono consapevoli dell’architettura ad Asmara. Ma lo stile di vita di ognuno qui è influenzato dal carattere dello spazio urbano. Gli edifici hanno il loro ruolo», spiega Metuasu, parlando dal suo ufficio governativo. «Gli edifici influenzano quello che vedi, come ti muovi e il carattere della città».
Camminando per le strade della città in una fredda, buia sera d’agosto (molto buia: l’elettricità governativa chiude i battenti ogni sera e i lampioni da strada sono pochi e lontani uno dall’altro) puoi davvero percepire l’immobilità della città. Le sue strade sono movimentate ma senza il frastuono di Khartoum, Sudan, o di Addis Ababa, Etiopia, i vicini a nord e sud dell’Eritrea. «Apprezzi la natura di Asmara quando vai in altre città. Il Cairo è il caos. Qui è una figata», dice Metuasu. E di notte, i caffè e le strade rimangono piene di gente. Specialmente sulla via Harnet. Prima era nota come via Mussolini e via Haile Selassie, ma questi primi nomi ricordano dolorosamente la segregazione razziale che la città ha dovuto affrontare – e che affronta ancor oggi – quando a nessun eritreo era permesso di passare per quella strada senza che venisse arrestato, imprigionato o peggio.
Oggi, via Harnet è piena di facce eritree, ma una nuvola di repressione aleggia ancora sopra la città. Mentre alcuni affermano che la città abbia spezzato il filo col suo passato violento, diverse organizzazioni per la difesa dei diritti umani dicono che poco è cambiato. Il governo, guidato dal presidente Isaias Afwerki, è stato accusato di abusare dei suoi cittadini attraverso un clima insidioso di lavori forzati, frequenti arresti, detenzioni, sparizioni, torture – nonché rigorose repressioni alla libertà d’espressione.
In questo stato di paria, adesso sottoposto a sanzioni dalle Nazioni Unite, il cupo atteggiamento verso i diritti umani contribuisce a far sì che il Paese sia difficilmente accessibile ai giornalisti e ai turisti. I visitatori ad Asmara sono rari. Le compagnie aeree eritree rimangono a terra per i loro record d’irregolarità sulla sicurezza e le sanzioni a cui sono sottoposte. Nonosante ciò, sia la Quatar Airways che la Turkish Airlines hanno lanciato, nel 2014, nuovi voli con rotta ad Asmara. La maggior parte dei turisti sono mogli e mariti in luna di miele dal Sudan – così come qualche curioso architetto.
Si stanno compiendo dei tentativi per preservare la città, ma sono tentativi lenti. Il Cultural Assets Rehabilitation Programme (Programma di Riabilitazione dell’Assetto Culturale, ndr), un progetto nato grazie alla pubblicazione del libro Asmara: Africa’s Secret Modernist City (Asmara: La Più Modernista Città Segreta d’Africa, ndr), sta attualmente spingendo per far sì che le gemme d’architettura di Asmara entrino nella lista dei siti considerati patrimonio dell’umanità dell’UNESCO.
Ed è vero che la storia e il patrimonio del Paese vivano tutt’oggi nelle strade della città: l’influenza italiana permane, e le Fiat 500, le Lada vintage e i vecchi Maggioloni della Volkswagen ancora bazzicano per le ampie strade. Le biciclette sono ovunque.
«Ovunque c’è una strada, in Eritrea, lì c’è anche una bici», dice Filmon Mihreteab, un interprete. In Eritrea vanno pazzi per il ciclismo, e la pendenza mozzafiato della strada da 100 chilometri che va da Asmara al Mar Rosso attira un sacco di ciclisti locali per gare e allenamenti. «Non c’è una parola per indicare la bicicletta in Eritrea. Noi la chiamiamo bicicletta, come gli italiani».
Mentre Asmara rimane ingolfata dal disagio politico ed economico, la sua capsula del tempo in stile art déco continua ad essere una piccole fonte d’orgoglio per i suoi residenti. «Quando le persone diventano consapevoli della bellezza degli edifici, s’innamorano», dice Metuasu.