Il grande chef in due atti

La parte croccante della lasagna Folgorante Bottura a Bergamo

La parte croccante della lasagna Folgorante Bottura a Bergamo
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Mercoledì 2 settembre, è venuto a Bergamo Massimo Bottura, uno dei massimi chef d’Italia e del mondo. L’incontro è avvenuto alla Domus in Piazza Dante e rientra nel quadro di GourmArte Special Edition, quattro incontri con altrettanti maestri della cucina di alta classe che ci accompagneranno nei prossimi mesi. Oltre a Bottura, potremo ascoltare e scoprire le straordinarie ricette di Pino Cuttaia (La Madia, Licata - Agrigento), Annie Féolde (Enoteca Pinchiorri, Firenze), e Gennaro Esposito (Torre del Saracino, Vico Equense – Napoli). L’iniziativa fa da preambolo alla GourmArte che sarà presente alla Fiera di Bergamo.

 

PARTE PRIMA: LO SHOW COOKING ALLA DOMUS

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L’incontro con Bottura è stato folgorante e divertente come pochi altri eventi. Lo chef dell’Osteria Francescana di Modena ha instaurato fin da subito un rapporto stretto col pubblico presente, notevolmente folto, ed è riuscito in un’oretta e mezza scarsa a trasmettere il senso profondo della sua arte culinaria, scavando nelle sue origini ma anche sgranando un percorso professionale mai pigro o monotono.

Portare l’Italia nel mondo. Lo stile oratorio all’insegna di un tono amichevole si è messo in evidenza fin dalle prime parole di Bottura: «Di recente devo dire che ho svoltato». Ha raccontato quindi il suo passaggio dall'idea di far venire la gente in Italia, sulla scorta del suo libro Vieni in Italia con me, all’idea ben più moderna di utilizzare le materie prime italiane per portarle nel mondo. La volontà dello chef mira a contaminare la nostra tradizione, rinnovarla e renderla in un certo senso più internazionale. Questo modus operandi ha una sua concretizzazione ad esempio in un piatto che Bottura ha raccontato nei dettagli. Si tratta di una carbonara di mare che parte da Napoli con le vongole, passa per Hokkaidō dove preleva dei ricci di mare d’eccellenza ed infine approda a New York, dove Bottura reinterpreta gli elementi dando alla luce un finto spaghetto alla carbonara. Quello che appare come tuorlo d’uovo è una crema di vongole e ricci, mentre il bacon è ottenuto dalle vongole. Magistrale reinterpretazione.

Tradizione e rinnovamento. Secondo Bottura uno chef non deve avere delle certezze, deve rimettere in discussione ogni cosa per cambiarla e reinventarla. Anche la tradizione, elemento sacro per molti in ambito culinario, non va idolatrata: bisogna porsi in modo critico nei confronti di essa e non nostalgico. Qui il discorso si fa ancor più approfondito: non sempre le ricette della tradizione rispettano appieno le materie prime. Una volta non c’era l’esigenza vera di cercare le eccellenze, ma piuttosto c’era bisogno di lenire la fame e si facevano certi lavori artigianali e agricoli solo perché il proprio nonno e padre li avevano insegnati, non c’era alternativa. Oggi tutto è cambiato: i produttori si dedicano ad una certa attività perché è quello che vogliono fare, ci mettono quindi un surplus di motivazione che permette di ottenere materie prime straordinarie, che poi vengono rielaborate con tutt’altra coscienza delle potenzialità e utilizzando strumenti e tecniche più avanzate. Quando la tradizione suggerirebbe di fare scelte che oggi possiamo definire sbagliate, è giusto distaccarsene. Due esempi: la noce moscata nel ripieno dei tortellini veniva messa per coprire il gusto non così straordinario della carne. Oppure: che senso ha bollire la carne e quindi lavarla di tutte le sue proprietà nutritive ed organolettiche? Nessuno.

Migliorando le ricette Bottura porta avanti due missioni: aiuta i contadini e i produttori nel rispettare il loro lavoro e sprona la cucina italiana ad evolversi. Per lui non bisogna continuare a vantarci che la nostra cucina è la migliore al mondo: bisogna confrontarsi con le altre cucine del mondo e poi farlo dire agli altri se siamo i migliori o meno. Altrimenti si diventa autoreferenziali.

La parte croccante della lasagna. Nel fare un excursus rapido del suo libro, lo chef si sofferma in particolare su un piatto, il protagonista in questo show coking che precede la cena al Balzer, che ha segnato il tutto esaurito. Si intitola La parte croccante della lasagna e prevede una preparazione elaboratissima. Veramente sentendolo spiegare capiamo perché viene considerato uno dei più grandi al mondo. Come ogni piatto di alto livello nasce da un’esperienza, da una questione, un dubbio. Girando per il mondo si trovano ovunque degli pseudo spaghetti alla bolognese. Bottura, emiliano e legatissimo a questo piatto, ha voluto ridare senso a questa stortura: il ragù infatti deve combinarsi con le tagliatelle, che col loro spessore quando vengono rollate permettono di raccogliere tanto sugo. Non ha quindi senso parlare di spaghetti alla bolognese, anche perché se la carne non è tagliata al coltello, ma macinata diventa impossibile raccoglierla insieme alla pasta, col risultato di dover alternane bocconi di spaghetti a forchettate di sugo. No, Massimo ne ha abbastanza di questi anacronismi culinari: ha perciò deciso di trasformare il piatto della tradizione. Non più spaghetti, ma una lasagna del tutto particolare, che vuole riprendere solo la parte più buona, quella croccante che ogni bambino brama di sottrarre dalle enormi teglie della nonna.

Si inizia preparando gli spaghetti con tre salse diverse: una bianca al parmigiano, una verde alle erbette e una al pomodoro. In seguito si riducono tutte a crema, per poi passarle al disidratatore. Accostandole poi in forno e tirandole si ottengono dei foglietti tricolore davvero curiosi. Ma per ottenere il gusto bruciacchiato servono altri tre passaggi: un bagno di un secondo nell’olio bollente, una bruciacchiatura col cannello ed infine una passaggio nell’affumicatore. Questa meravigliosa chip gigante può sposarsi infine col ragù ed una besciamella leggera fatta col sifone.

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Oooops mi è caduta la crostatina al limone. In ultimo, un piatto di dessert che apre ulteriori margini nella definizione del carattere del formidabile Bottura. La ricetta di questa crostatina nasceva come omaggio all’Italia intera: in essa si trovavano ingredienti vari che celebravano il Belpaese. Capperi di Pantelleria, mostarda di mele campanine, limoni di Sorrento, arance confit e amarene di Modena. Una volta il suo mastro pasticcere, un giapponese impeccabile, ne ha rovesciata una per sbaglio. Sacrilegio! Ma è stato in quel momento che la mente fervida di Massimo Bottura ha avuto una delle sue tante epifanie. Come racconta, «quando succede qualcosa di inaspettato se hai spazio nella testa per la fantasia puoi immaginare e creare cose nuove». Da quell’incidente lo chef ha creato dunque questo dessert dal titolo peculiare: esso vuole suggerire una perfetta imperfezione, vuole indicarci che le cose vanno amate nella loro inevitabile imperfezione. Il messaggio è da estendere all’Italia tutta: guardiamo meno ai difetti e godiamoci le nostre bellezze.

Messaggio ai giovani. Circa quindici anni fa il grande chef ha vissuto un momento di incertezza: una recensione criticava una «foto della Ferrari al ristorante», quando in realtà si trattava di un dipinto con 35 sfumature diverse di rosso raffigurante la Ferrari 312 di Gilles Villeneuve, il più amato dai modenesi. Bottura si stava scoraggiando, aveva pronti i biglietti per Londra, ma alla fine non ha desistito e si è rimboccato le maniche. Da quel fraintendimento è nato un piatto strepitoso che si ispira alle alette laterali della Ferrari. Nell’autunno successivo, quando sono uscite le guide dei ristoranti, sono fioccati i premi ed è giunta poi la prima stella Michelin. Da lì la sua carriera ha seguito una continua ascesa. Questo episodio contiene un messaggio ricco di significati per i giovani. Bottura è dalla loro parte, ma ribadisce che bisogna avere molta pazienza, bisogna prendere delle batoste e non mollare, darsi una seconda possibilità. Non crede, Bottura, che sia l’approccio migliore buttarsi a capofitto in cucina (così come in ogni campo): bisogna darsi tempo, fare esperienze anche diverse dal settore che si vuole abbracciare, leggere, studiare, formare prima una personalità e poi mettersi all’opera. Ma il monito va anche agli adulti: calma a mettere i giovani sui piedistalli, ha molto più senso incalzarli per far emergere il loro meglio.

 

PARTE SECONDA: LA CENA AL BALZER

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Bottura è il Massimo, di nome e di fatto. Dunque è scontato che la serata sia “sold out”. I commensali arrivano in ordine sparso al Balzer, dove il super chef sta cucinando la cena a tre stelle (Michelin) per il gustoso prologo di Gourmarte, la rassegna enogastronomica di Promoberg. Sedersi al tavolo costa 99 euro (a cranio), ma per tutti ne vale assolutamente la pena. Non è un prezzo stracciato, però d'occasione sì. Visitare l'Osteria Francescana di Modena, il tempio di Bottura, costerebbe infatti almeno il doppio. I 99 euro sono soldi ben spesi perché, come assicura una fan, “lui con i suoi piatti racconta una storia”.  E basta guardare le facce degli 80 fortunati clienti per capire che non vedono l'ora di scoprirla.

Sbirciando il menu, a dire il vero, sembra che l'incipit non sia particolarmente suggestivo: “Il ricordo di un panino alla mortadella”. Un ragazzone con tatuaggio, in attesa dell'illustre antipasto, resta sospeso tra ansia e speranza: «Beh, non sarà mica un panino normale...». Mentre tutti sono già seduti, entrano in scena anche i coniugi Gori. Il sindaco Giorgio in camicia bianca, giacca e sorriso smagliante, lady Cristina con vestitino nero très chic e abbronzatura da copertina. «Sono stata all'Osteria Francescana e ho mangiato benissimo – confida la Parodi – La sua cucina è eccezionale, ma non sofisticata. E poi lui è molto simpatico. In questo momento è uno dei migliori chef del mondo, sarebbe stato un peccato perderselo». Gori non sta nella pelle: «Io invece non sono mai stato nel ristorante di Modena ma chi c'è andato mi ha raccontato meraviglie. Però ho assaggiato alcuni suoi piatti a Expo e mi sono piaciuti tantissimo».

Gori & Parodi sono però gli unici vip (insieme al vicesindaco Sergio Gandi e consorte) della serata. La Bergamo che conta ha snobbato l'evento. Tra i grandi assenti anche Luigi Trigona, gran patron di Gourmarte. In sala c'è uno stuolo di 30-40enni, un pubblico con ingredienti misti. C'è il patito del “food”, quello che non si perde Master Chef e corre in libreria per l'ultimo libro di Cracco. Ma anche il semplice curioso, che sgrana gli occhioni e prima di impugnare la forchetta ti dice: «Le aspettative sono alte, siamo venuti apposta da Pavia». Poi c'è chi Bottura se lo sogna anche di notte: «Ho tentato di prenotare all'Osteria, ma mi hanno risposto che c'era una lista d'attesa di mesi... Quando ho saputo che veniva a Bergamo non me lo sono fatto scappare». Tra i tanti si infila anche qualche addetto ai lavori: Beppe Acquaroli del Baretto di San Vigilio, venuto a spiare il maestro da vicino.

Verso le 21 la lunga attesa finisce, in sala entra lui, Bottura in persona. Introduce i piatti, spiegandone la filosofia senza svelarne troppo i segreti. Poi iniziano ad affluire le agognate portate. Sfilano “la parte croccante della lasagna”, poi “il compromesso storico”. E ancora “”Beautiful spin painted veat not flame grilled”, “Caesar in bloom” e infine “Oooops mi è caduta la crostatina al limone”. Più che un menu, una galleria di gastro-capolavori. I palati si abbandonano alle delizie di Bottura, dopo ogni piatto le lodi si sprecano. E il panino alla mortadella? Beh no, non era un panino normale.

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