La Jolie lascia l'Ong di Lady D che fa beneficenza... ai ricchi

La star hollywoodiana Angelina Jolie prende davvero sul serio il suo impegno umanitario. Madre di una numerosa tribù di figlioli, sia biologici che adottivi, dal 2012 è ambasciatrice dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ed è coinvolta in numerosi progetti di assistenza. Ma tra le diverse associazioni di cui fa parte, o a cui comunque contribuisce, ce n’è una che ha destato tanta indignazione nell’attrice da indurla a salutarla definitivamente.
Nel maggio dell’anno scorso (ma la notizia è stata diramata soltanto pochi giorni fa), Jolie ha lasciato Halo (Hazardous Area Life-support Organization) Trust, una Ong fondata nel 1988 allo scopo di liberare dalle mine antiuomo i terreni di mezzo mondo. Qual è il motivo di questo inatteso addio? Le ragioni addotte dalle Jolie le fanno onore e ci inducono a riflettere su come persino le associazioni umanitarie vengano talvolta usate alla stregua di pozzi di San Patrizio da personaggi non del tutto caritatevoli. L’attrice, infatti, si è scontrata con i capi del Consiglio di amministrazione, di cui peraltro faceva parte, perché costoro si attribuivano lauti compensi, attingendoli direttamente dalle casse della fondazione. I suoi colleghi, secondo le informazioni a disposizione, si facevano pagare 500 sterline al giorno (circa 680 euro) e, inoltre, due membri del Consiglio si sono accaparrati più di 120mila sterline (164mila euro) per una “revisione” «strutturale, remunerativa e relativa ai rapporti con i governi dei diversi Stati» intrapresa da Halo nel 2014.
Il presidente di Halo, Amanda Pullinger, e un altro componente del consiglio, Simon Conway, avrebbero così incassato 122mila e 750 sterline. Ma non finisce qui: il Consiglio della Ong avrebbe anche approvato una mozione che garantisce un contribuito economico per le rette scolastiche dei figli dei vari membri. Più che un’associazione umanitaria, Halo Trust sembra essere un’associazione di mutuo soccorso per ricchi. I membri che occupano i piani alti, infatti, sono in gran parte personaggi noti al jet-set o alla politica. Il DailyMail cita Cindy McCain, consorte di John McCain, ex candidato alla Presidenza Usa; Tom Bradby, presentatore tv; e Jamie Lowthen Pinkerton, segretario privato del Duca e della Duchessa di Cambridge (William e Kate, per i profani) e del Principe Harry – che peraltro nel 2013 è stato patrono di Halo. Sì, la famiglia Reale inglese: chi ha buona memoria, infatti, si ricorderà sicuramente l’emblematico scatto di Lady Diana intenta a camminare in un campo con mine antiuomo, in Angola. Ebbene, l’associazione umanitaria a cui la compianta principessa di Galles si era rivolta era proprio Halo Trust, che salì alla ribalta delle cronache nei media mondiali.
Il fatto non fu certo riprovevole: dare visibilità ad associazioni che operano per il bene dell’umanità è sempre un atto da ammirare. È certo tuttavia che la Ong Halo non è stata fondata da chicchessia, bensì da un ex membro del Parlamento inglese, nonché ex colonnello dell’esercito britannico, vale a dire Colin Mitchell. L’altro fondatore, Guy Willoughby, si è formato ad Eton ed è stato addestrato nella Royal Military Academy Sandhurst, la stessa frequentata dai figli di Lady D, e anche dall’attuale re di Giordania Abdallah II. Ma il fatto più rilevante che riguarda Willoughby è il suo ritiro forzato dal Consiglio di Halo. Nel luglio 2014, infatti, l’associazione gli ha chiesto di farsi da parte per dissidi interni che concernevano, guarda caso, lo stipendio da nababbo percepito dal fondatore. Si parla di compensi compresi tra le 210 e le 220mila sterline (qualcosa tipo 287mila, 301mila euro). Decisamente troppo.
Angelina Jolie se n’è andata, dunque, per l’incompatibilità della sua vocazione umanitaria con il lusso che gli altri suoi colleghi si concedono sfruttando fondi che andrebbero spesi altrimenti – fondi che peraltro risultano essere assai verdi, dato che nel 2014 il Dipartimento per lo Sviluppo Internazionale britannico ha versato un contributo di 5,7 milioni di sterline (circa 8 milioni di euro) nelle casse dell'Ong. L’attrice chiedeva non solo che gli stipendi venissero ridotti a cifre più ragionevoli, ma anche che la cosiddetta “revisione” strutturale dell’organizzazione fosse pagata da quegli stessi membri che l’avevano richiesta. Un addetto ai lavori ha infatti rivelato al Times: «[Jolie] ha lasciato perché era estremamente a disagio con le azioni degli altri membri del Consiglio. La cosa più rilevante era il fatto che si pagavano da soli. Ha detto: “Se questi membri vogliono fare una revisione, devono pagarsela da soli”».
Per tutta risposta, un portavoce dell’Ong ha dichiarato al Daily Mail: «La Halo Trust è un'organizzazione internazionale di 6.500 persone, tutte impegnate a svolgere un lavoro che salva la vita degli altri in quattro continenti. Come associazione umanitaria, siamo consapevoli del bisogno di spendere il denaro che riceviamo in modo saggio e questo principio governa le decisioni del nostro Consiglio. Recentemente l’attenzione si è focalizzata sulla nostra politica e sui pagamenti ai membri. Dopo un periodo di cambiamenti sostanziali avvenuti lo scorso anno […], abbiamo condotto una ristrutturazione amministrativa […]. Due membri sono stati incaricati di svolgere questo lavoro e di guidare l’organizzazione. Hanno ricevuto un compenso per questo, che è stato assolutamente appropriato. I pagamenti sono stati concordati dal Consiglio e sottoscritti dalla Commissione. L’associazione è abbastanza fortunata da avere l’aiuto di molti individui di alto profilo, come la signora Angelina Jolie. La signora Jolie ha deciso di lasciare il suo posto come membro di Halo nel maggio dello scorso anno, ma rimane una sostenitrice di Halo Trust e della nostra missione di liberare il mondo dalle mine».
Angelina Jolie non ha replicato a questa dichiarazione. Per comprendere appieno come si sia svolta effettivamente la vicenda, si dovrebbe essere addentro alla Halo Trust. Da osservatori esterni, tuttavia, non possiamo esimerci dal pensare che un’organizzazione di carità dovrebbe spendere in progetti umanitari più di quanto conceda ai suoi membri.