Dalla terra ai premi prestigiosi

L'azienda Il Calepino dei Plebani Ovvero, la Franciacorta bergamasca

L'azienda Il Calepino dei Plebani Ovvero, la Franciacorta bergamasca
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Lombardia, terra da sempre vocata alla spumantistica. Chi non ha mai bevuto una bollicina dell’Oltrepò Pavese o della ancor più nota Franciacorta? Non tutti sanno però che il naturale proseguimento della Franciacorta è proprio la bergamasca Val Calepio. Specialmente qui, a Castelli Calepio, territorio da sempre conosciuto per la bontà dei suoi vini. Che il vino ottenuto da questa terra fosse buono lo sapevano perfino i coloni greci che in nel VII secolo le diedero proprio per questo il nome di Kalos (buono) – Pino (bevo). Siamo nei pressi del fiume Oglio: sulla sponda est, quella bresciana, si intravedono i vigneti della Franciacorta, mentre sulla sponda ovest i primi filari di viti bergamasche nei quali ci si imbatte sono quelli dell’azienda Il Calepino, fondata negli anni Settanta da Angelo Plebani. Ma andiamo con ordine.

 

[I fratelli Plebani dell'azienda Il Calepino]

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Un po' di storia. All’inizio del secolo, in carenza di grano, la coltura della vite in queste terre venne abbandonata e i contadini preferirono dedicarsi a coltivazioni più tradizionali. Contadino lo era anche il signor Angelo quando scoppiò la guerra. Lasciate le terre, si distinse nelle file dell’esercito e, al termine del conflitto, tornato a casa gli toccò reinventarsi. Così, agli inizi degli anni Cinquanta, la famiglia Plebani decise di trasferirsi in città e Angelo divenne titolare del bar biglietteria della stazione del tram di Sarnico. Il bar, ben gestito, in poco tempo diventò in una vera e propria  trattoria. Ai fornelli la moglie cucinava piatti semplici della tradizione, tutto era fatto in casa, eccetto il vino che Angelo comprava da fornitori esterni.

La routine quotidiana della trattoria lo mise però davanti all’evidenza che di vino ne serviva davvero molto: perché dunque non produrlo da sé? Angelo, entusiasta di questa nuova idea, decise senza troppo pensarci di investire i guadagni dell’attività di ristorazione, comprando nel ’72 un pezzo di terra lungo il fiume Oglio, che oggi è il cuore dell’azienda Il Calepino. Angelo di esperienza con le vigne non ne aveva mai avuta prima, aveva però un buon amico da cui imparare. Oltre i terreni dell’azienda, lo sguardo incontra prima il fiume e a seguire distese di vigneti, tra i quali quelli dell’azienda Berlucchi. Agli albori degli anni Settanta, in Franciacorta le bollicine erano ancora una novità e oltre a Berlucchi c’erano poche altre aziende, ma a dirigere questo grande nome c’era Franco Ziliani, coetaneo e grande amico del signor Plebani. Fu proprio Ziliani a fornire l’attrezzatura e il know-how necessari ad Angelo per partire con la sua nuova attività. La sfida è vinta e già nel ’78 nasce il primo vino dell’azienda Surie (questo il primo nome).

 

 

Il nuovo nome: Il Calepino. Le surie o surúe non sono altro che i terrazzoni morenici che caratterizzano questa terra, felice dimora di molti vigneti. All’inizio questo nome va più che bene: il vino che usciva dalla sua cantina era unicamente destinato alla trattoria e faceva comodo dire ai propri ospiti che «il vino era quello delle surie» che stavano poco distanti. Probabilmente neanche il signor Angelo si aspettava che nel giro di pochi anni la sua cantina, da attività accessoria alla ristorazione, sarebbe diventata la sua fonte maggiore di reddito. Quando questo accadde, sorse l’esigenza di trovare un nome più commerciale per l’azienda, un nome che potesse diventare un vero brand, senza perdere però la forte connotazione con il territorio. E così, a una cena con gli amici, tra una chiacchiera e l’altra, arrivò la giusta ispirazione, quella di legarsi all’immagine di un personaggio che già aveva reso famoso questo territorio: Fra Ambrogio, detto “Il Calepino”.

Fra Ambrogio era il primogenito del conte Trussardo Calepio, primo feudatario della Val Calepio. La sua attività di studioso lo portò all’inizio del Cinquecento a pubblicare il primo Dictionarium Latinum, “Il Calepino” appunto, il primo dizionario che dal latino riportava alle lingue volgari italiche allora usate e poi al francese, al tedesco, all’inglese e così via. Una bella collezione di Calepini e delle sue numerose ristampe è ora esposta in cantina, con grande orgoglio degli eredi del signor Angelo, che oggi mandano avanti la gestione della cantina e del ristorante. Ed è grazie a loro che oggi Il Calepino non è più solo un vocabolario, ma il simbolo di una produzione di qualità, così Fra Ambrogio non è più solo un frate, ma il nome di uno dei vini prodotti, come lo sono il Kalos e il Surie.

[L'azienda a Castelli Calepio]
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Una tragedia e una rinascita. La storia del Calepino è una storia di incredibile tenacia e dedizione di una famiglia, specialmente di questi due fratelli che hanno deciso di continuare quello che il padre aveva seminato. Ma non è stato sempre facile. Pochi anni dopo la produzione del primo vino, infatti, Angelo Plebani muore in un tragico incidente stradale. La signora Plebani, che fino a quel momento si era preoccupata unicamente della cucina della trattoria, e i figli, giovani studenti, si ritrovano improvvisamente soli e impreparati davanti a prestiti bancari da ripagare, l’attività di ristorazione da mandare avanti, e la produzione del vino da gestire. La signora continua a dedicarsi alla trattoria diventandone regina indiscussa, ma in cantina non c'è più nessuno. È in questo momento che i due fratelli prendono la decisione di dare una svolta alla loro vita. Franco abbandona la Facoltà di Economia e, affiancato dal fratello, rientra alla base per diventare vignaiolo. Ma vignaiolo non si diventa da un giorno all’altro, e nessuno di loro due ne sa molto né di coltivazione della vita né tanto meno di gestione della cantina. Il padre è morto troppo giovane per trasmettere le conoscenza acquisite nei pochi anni di vita dell’azienda, e prima di allora gli interessi dei due fratelli erano molto distanti dalla vita della cantina. Per fortuna non è mai troppo tardi per imparare qualcosa di nuovo, Franco e Marco ne sono convinti e, aiutati da due tecnici, cominciano questa nuova avventura. Se ora si sente parlare Franco sembra che in vigna ci sia nato. Padroneggia perfettamente un linguaggio davvero molto tecnico: parla di antociani, maturazione fenolica, acidi, tutti termini tecnici che testimoniano come la sua presenza all’interno dell’azienda non sia solo un apporto alle attività  più commerciali, ma come sia invece direttamente coinvolto nelle decisioni in vigna e in cantina.

Il territorio. I due oggi sono poi costantemente impegnati a mantenere un legame forte con la dimensione territoriale, nel nome dei vini come nella tipicità dei loro tratti. Sono i primi a riconoscere la grande potenzialità della Val Calepio, che però purtroppo nell’universo delle zone vitivinicole rimane ancora sconosciuta a molti. Franco racconta come negli anni passati la valle non sia stata in grado di raggiungere un’identità forte come quella ottenuta dalla Franciacorta, ma non si dà comunque per vinto. Anzi, la missione che persegue ogni volta che propone il suo brand per l’Italia e per il mondo è quella di promuovere e valorizzare non solo Il Calepino, ma il territorio su cui nasce. «Quando vendo una bottiglia negli Stati Uniti o in Canada, non sto vendendo solo una bottiglia di Calepino, sto vendendo la Val Calepio», dice Franco. «Quella della mia e di altre aziende è una grossa responsabilità, perché attraverso la qualità dei miei vini passa la reputazione di un intero territorio». E Il Calepino di bottiglie all’estero comincia a venderne parecchie.

[La cantina e gli interni dell'azienda]
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I premi. I buoni numeri si accompagnano, tra l'altro, ai riconoscimenti più prestigiosi. Ultimo premio tra tutti l’ottenimento della golden star del Touring Club che, nell’edizione 2016 della guida Vini Buoni d’Italia, ha insignito di questo onore lo spumante Il Calepino Non Dosato del 2008. Il titolo è riservato ai quei vini che si distinguono per eleganza, finezza, qualità e precisa espressione del territorio, componente quest’ultima che ha giocato a favore dell’azienda Il Calepino. Il vino ha un bel colore giallo brillante, le bollicine fini fini risalgono il bicchiere e scoppiano in superfice rilasciando un buon profumo di frutta, ma anche di erbe. La sensazione è quella di una brezza estiva di montagna. Anche in bocca torna la percezione di erbe officinali che si traduce in una grande freschezza: ogni sorso rinfresca e pulisce il palato. Eppure questo premio, come quelli vinti in precedenza ed esposti con orgoglio all’ingresso della cantina, non ha dato alla testa a nessuno dei due fratelli. «I premi sono importanti, aiutano a dare una grande visibilità al brand Il Calepino, ma quello che per noi rimane primario è il gusto dei nostri consumatori», precisano.

E i consumatori sommelier o titolati, attenti ai giudizi delle guide, rappresentano solo una parte irrisoria del totale. Quelli che ordinano o comprano vino oggi sono persone amanti della buona tavola, che sanno riconoscere quando un bicchiere allieta il palato durante il pasto e quando invece risulta sgradevole. La famiglia Plebani questo lo sa bene e, per orientare la propria produzione, ogni cinque anni fa degli ospiti del proprio ristorante, assieme ad amici e parenti, una vera e propria giuria. In occasione di questa ricorrenza vengono offerti agli ospiti vini di produzione propria assieme a vini della stessa tipologia, ma realizzati da cantine della concorrenza. La degustazione avviene alla cieca naturalmente, così da indagare cosa una persona con un palato allenato apprezzi di più o cosa invece trovi fastidioso.

[La gamma di prodotti dell'azienda]
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Cosa abbiamo assaggiato. Ma l’attenzione non è unicamente ricolta al consumatore, i due fratelli sono spesso in visita ad altre grandi cantine italiane e internazionali, per cercare nuove ispirazioni, in una continua tensione a migliorarsi. La gamma di prodotti offerti ha dei pilastri, ma continua ad ampiarsi e si fa sempre più varia e interessante. Tra tutti i vini abbiamo assaggiato alcuni dei più conosciuti della gamma di prodotti: il Calepino Brut, il Vlacalepio Riserve SURIE e da ultimo il Cabernet Sauvignon Kalos.

  • Calepino Brut Metodo Classico, 2008. Il Calepino Brut è uno spumante secco, “base” della produzione dell’azienda. Lo potete tranquillamente trovare negli scaffali delle più grandi catene di distribuzione. Eppure non è un vino banale, ma, anzi, è eccezionale come aperitivo e allo stesso modo a chiusura di una bella cena. Le bollicine ricordano quelle appena descritte poco sopra dello spumante Non Dosato, ma l’aroma che diffondono è ben diverso. Decisamente più fruttato, potrete riconoscere note di frutta tropicale, miele e quello che in gergo tecnico si definisce “profumo di crosta di pane”. Avete presente l’odore che si sente quando passate vicino a un panificio che ha appena sfornato il pane? La sensazione è proprio questa. In bocca si ritrovano e si amplificano le stesse sensazioni percepite con il naso, anche se tutta questa dolcezza viene temperata da una buona acidità che lo rende ancora più invitante. [Costo 10 €, provalo con: primi piatti a base di pesce (crostacei e molluschi), ottimo anche come aperitivo.]
  • Valcalepio Rosso Riserva SURIE, 2010. Altro vino da tavola interessante è il Valcalepio Riserva SURIE. La dicitura “Riserva” indica che il vino ha riposato più a lungo nelle botti prima di essere imbottigliato e questo fatto lo rende più deciso di un vino della stessa tipologia meno invecchiato. Il colore rosso che contraddistingue questo Valcalepio ricorda quello di un rubino brillante. Se riuscite a immaginare l’odore che si sente appena aprite un barattolo di marmellata di frutti di bosco, questo è lo stesso identico profumo che percepite appena avvicinate il naso al bicchiere. All'aroma di confettura si aggiunge poi una nota tostata data dal riposo in botte. In bocca questo vino si fa sentire eccome! Ha un corpo importante che lo rende ideale per accompagnare piatti altrettanto d’impatto. [Costo 8 €, provalo con: arrosti e carni rosse.]
  • Cabernet Sauvignon KALOS, 2008Chiudiamo questa proposta di vini con una chicca non certo da tutti i giorni: una bottiglia di Kalos, un cabernet sauvignon di grande prestigio. Questo vino passa molto tempo in barrique prima di essere imbottigliato e il contatto con il legno incide fortemente sulle sue caratteristiche originali. Il colore rimane rubino, ma più scuro. Ogni volta che si avvicina il naso al bicchiere si avverte una sensazione diversa: la ciliegia sotto spirito, tipica di questo vitigno, percepita inizialmente viene presto sosituita da profumi più tostati, dovuti al passaggio in legno, come quello del caffè quando si entra in una torrefazione. I profumi continuano ad evolvere e arriva un sentore di pruga secca, quello che si sente di fronte ad una confezione delle famose prugne Saratoga. Insomma un profumo interminabile! La meraviglia prosegue in bocca: il vino è avvolgente e caldo, regala tanti sapori che corrispondono a quelli percepiti al naso e che non lasciano più la bocca. Per questo la famiglia Plebani ama definirilo un “vino da meditazione”, perché si gusta perfettamente in poltrona davanti al camino senza per forza mangiare qualcosa nel mentre. [Costo 20 €, provalo con: i formaggi stagionati della tradizione bergamasca, secondi importanti a base di carne.]
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