La guerra in Iraq e le scuse di Blair «Ha favorito la nascita dell'Isis»
Tony Blair, ex primo ministro laburista britannico nonché inviato speciale del Quartetto per il Medio Oriente dal 2007 al maggio 2015, ha chiesto scusa al mondo per aver in qualche modo favorito la nascita e l’espansione dell’Isis. Lo ha confidato alla Cnn, specificando che la guerra in Iraq del 2003, quella che portò alla deposizione e alla morte di Saddam Hussein, è stata fondamentale nel preparare il terreno alla situazione che oggi vive il Medio Oriente, alle prese con la cieca violenza del sedicente califfo al Baghdadi.
Errori di intelligence e non solo. E proprio perché la guerra fortemente voluta e combattuta dagli Stati Uniti di George W. Bush godeva del sostegno britannico, Blair ha fatto il sua mea culpa, ammettendo una serie di errori. A 12 anni di distanza da quel 20 marzo 2003, quando le truppe americane invasero l’Iraq, l’ex inquilino di Downing Street ha riconosciuto che il primo, grosso errore, venne commesso dall’intelligence britannica nell'attribuire a Saddam Hussein il possesso delle armi di distruzione di massa. Fu quello il pretesto per giustificare la guerra e l'intervento militare inglese accanto agli Stati Uniti. Blair si è detto dispiaciuto anche «per alcuni errori di pianificazione oltre che per i nostri errori di valutazione su cosa sarebbe successo una volta rimosso il regime».
L’eco sulla stampa. Le scuse di Blair, oltre a dichiarare un fallimento della politica estera britannica sotto il suo mandato, hanno avuto un fortissimo impatto sulla stampa di tutto il mondo. C’è chi le ha definite sbalorditive, e chi ha dedicato al fatto ampio spazio, come il conservatore Daily Mail - che fu contrario alla guerra in Iraq - il quale sostiene (con tanto di messaggi di posta elettronica in mano) che Blair era pronto a mandare le truppe in Iraq addirittura un anno prima dell'inizio del conflitto, quando ancora ripeteva in televisione di voler cercare una soluzione diplomatica alla crisi.
Le critiche politiche. C’è anche chi ha interpretato il gesto come «un’operazione di immagine». Quest’ultima definizione è arrivata dalla leader dello Scottish National Party Nicola Sturgeon, che ha accusato Blair di preparare il terreno in vista del rapporto della commissione d'inchiesta sul conflitto. Ci si aspetta che la commissione capitanata da sir John Chilcot, chiamata a far luce sull’operato britannico di 12 anni fa, esprima forti critiche nei confronti delle scelte che all’epoca portarono Londra a intervenire al fianco degli Stati Uniti, pur senza accusare direttamente il governo di aver mentito al Parlamento. Per questo motivo la leader scozzese sospetta che Blair abbia voluto in qualche modo muoversi in anticipo per affievolire le critiche.
Il rapporto Chilcot. L’inchiesta sul coinvolgimento britannico in Iraq, una guerra che provocò la morte di 179 soldati britannici e il ferimento di altri 6mila, è iniziata nel 2006 per volere dell'allora premier laburista Gordon Brown, grande rivale di Blair. A capitanare la commissione è Sir John Chilcot, ex diplomatico che aveva già indagato sul ruolo dell’intelligence come membro della “Commissione d’esame Butler” in merito al presunto arsenale iracheno di armi di distruzione di massa. Sono state vagliate 130 testimonianze, analizzati 150mila documenti, tra cui molti documenti secretati, come le registrazioni delle telefonate tra Tony Blair e l’allora presidente americano George W. Bush. Tutti elementi che avevano reso finora impossibile la pubblicazione dei risultati finali, provocando le ire dei famigliari delle vittime e l’indignazione dell’opinione pubblica britannica. Adesso sembra che i nodi siano stati sciolti e che entro sei mesi i risultati verranno resi pubblici.
La difesa dopo le scuse. Nello scusarsi, Blair ha però voluto in qualche modo difendere le scelte del 2003, puntualizzando che comunque non si può sapere quale impatto sull’Iraq avrebbe avuto «la Primavera Araba cominciata nel 2011» se la guerra del 2003 non ci fosse stata. Sebbene l’ex premier abbia ammesso che vi sono «elementi di verità» nell'accusa di un legame diretto fra l'invasione del territorio iracheno e il successivo avvento del cosiddetto Stato Islamico del califfo al-Baghdadi, specifica che «l’Isis di fatto ha acquistato importanza da una base più siriana che irachena». Come bilancio conclusivo, inoltre Blair ha difeso anche la scelta di destituire Saddam Hussein, affermando: «Trovo difficile chiedere scusa per la rimozione di Saddam. Penso che anche oggi, nel 2015, la situazione sia migliore senza di lui piuttosto che con lui».