Il Paese con più suicidi al mondo (dover essere perfetti uccide)
Nella Corea del Sud i suicidi sono diventati una specie di epidemia. La depressione colpisce soprattutto i giovani, gli artisti del jet set, i politici e gli uomini d’affari e spesso non lascia scampo. Un rapporto dell’Ocse del 2009 rilevava come la Corea del Sud avesse il più alto tasso di suicidi tra le trentuno nazioni economicamente più sviluppate. Per la precisione, i numeri forniti dall’agenzia erano pari a 22 morti per suicidio ogni 100mila abitanti, contro la media Ocse di diciotto morti ogni 100mila abitanti. Tra il 1990 e il 2006, inoltre, il numero degli uomini sudcoreani che si sono tolti la vita è triplicato, secondo l’Ocse a causa «dell’indebolimento dell’integrazione sociale e dell’erosione del supporto tradizionale della famiglia, affidato ai più anziani». Il fenomeno, in calo in tutti gli altri Paesi dell’area Ocse, sta purtroppo continuando a crescere a Seul. Oggi, ogni giorno, si tolgono la vita circa 44 sudcoreani. Il tasso è quasi cinque volte superiore a quello italiano e ora il suicidio è diventato la prima causa di morte per chi ha meno di quarant’anni. E non sono i poveri o le fasce sociali meno protette ad essere i più colpiti. Nel 2010, per fare qualche esempio, si è tolto la vita Park Young, attore e cantante 32enne, famoso per il brano ‘Winter sonata’, mentre qualche anno prima hanno fatto scalpore i suicidi di Choi Jin-sil, nota attrice 39enne, e di Lee Eun-joo, modella e attrice che si è tolta la vita a 24 anni.
I fattori all’origine del malessere. Le cause del malessere che colpisce in forme più o meno gravi gran parte della popolazione sono piuttosto chiare. I sudcoreani sono ossessionati dall’efficienza e la società che hanno costruito negli ultimi cinquant’anni è il riflesso, ingigantito, del loro desiderio di eccellere, della loro grande competitività. Il risultato è che ora i giovani si trovano a vivere in ambienti familiari, scolastici e lavorativi, che pretendono da loro il massimo e non ammettono cedimenti. Da studenti, sono tenuti a riportare voti ottimi e molti seguono lezioni extra impartite da insegnanti privati, anche fino a tarda sera. Una volta laureati, i giovani devono trovare un lavoro che sia pari agli sforzi prodigati durante gli anni dell’istruzione. Dopo, devono cercare di ottenere posizioni di preminenza, economica e sociale. Nel complesso, c’è ben poco spazio per gli affetti, per i contatti interpersonali, per il puro e semplice svago. Oltre a questi fattori, gioca anche l’“effetto emulazione”, dovuto ai suicidi delle star dello spettacolo. È stato calcolato che lo spazio dato dai media a ogni caso di celebrità che si toglie la vita è responsabile di più di 600 suicidi.
Qualche provvedimento. I provvedimenti presi per cercare di contenere il fenomeno non puntano certo a risolvere il problema alla radice. Tra questi, ad esempio, c’è il sistema d’allarme automatico applicato ai venti ponti di Seul, che si attiva in presenza di un sospetto suicida e fa intervenire immediatamente una squadra di soccorritori. Sul ponte Mapo sono poi stati sistemati cartelli “incoraggianti” («La parte migliore della tua vita deve ancora arrivare») e la statua di una persona che consola un disperato. Intanto, sono aumentati gli psicologi e gli psichiatri interpellati e sono stati chiusi i siti e le chat che incoraggiavano a organizzare suicidi simultanei via internet. Ovviamente non poteva mancare un'app, per adolescenti e giovani, che avverte del rischio di suicidio. L’applicazione tiene sotto controllo l'utilizzo della rete e se si ripetono più volte parole legate al suicidio i genitori sono informati del pericolo con un sms.
Esperienze di pre-morte. Da qualche anno, pure le organizzazioni buddiste e le agenzie di pompe funebri - dai nomi non particolarmente fantasiosi (“Morte felice”, “Bella vita”, “Morire bene”) - vogliono dare una mano per fermare l’ondata di morti premature. Come spiega Internazionale, per scoraggiare i candidati al suicidio hanno pensato di organizzare una pseudo-esperienza della morte. Chi è intenzionato a togliersi la vita, ma non è così disperato da non pensarci due volte, può “fare il morto” e assistere al proprio funerale da vivo. Si stende in una tomba, una candela è accesa accanto al catafalco e i parenti scorrono in processione, piangenti. In questo modo, dicono gli organizzatori, si può riscoprire il proprio attaccamento alla vita. L’iniziativa è aperta a chiunque, ma sono soprattutto i giovani ad avere aderito. Si presentano in molti, si stendono in tombe (scoperchiate) e pensano a come sarebbe essere lì dentro e a non sentire più nulla, non vedere più nulla. Come sarebbe essere davvero morti, e non avere la possibilità di alzare le palpebre, lasciarsi alle spalle i feretri e ributtarsi nel grande, caotico mare della vita.