«Italcementi presenti un piano degli investimenti del Gruppo»
Per la vertenza Italcementi giovedì a Roma è stato il giorno dell'incontro sulla gestione degli ammortizzatori sociali: la Direzione del Gruppo, le organizzazioni sindacali, il Coordinamento delle RSU hanno incontrato i rappresentanti del Ministero del Lavoro e del Ministero dello Sviluppo Economico. Al termine del confronto FILLEA-CGIL, FILCA-CISL e FENEAL-UIL hanno emesso un comunicato nel quale, tra l'altro, si afferma che "il Ministero del Lavoro ha chiarito, in nome e per conto del Governo, l’applicazione delle nuove norme in vigore con il Jobs Act. Le parti hanno convenuto che per ricorrere agli ammortizzatori sociali nei prossimi anni si deve prendere a riferimento il piano industriale concordato nel 2013 con le successive modifiche".
I sindacati hanno ribadito che lo strumento da individuare deve riguardare l'intero Gruppo e non possono esserci differenti applicazioni degli ammortizzatori che prevedono l'interruzione del rapporto di lavoro per il devastante impatto sociale che avrebbero nei vari territori. "Il Governo - recita il comunicato - ha chiarito che non esistono ammortizzatori sociali preventivi, ha precisato che non vi sono le condizioni per utilizzare l’art. 42 e ha chiesto in modo esplicito alla Direzione di Italcementi di formulare un programma di investimenti per i prossimi anni, propedeutico all'applicazione degli ammortizzatori. La delegazione sindacale ha ribadito che per la complessità della fase in atto e per gli accordi stipulati in precedenza, nonché per le pesanti conseguenze occupazionali che potrebbero verificarsi in futuro a seguito della vendita al Gruppo Heidelberg, deve trovare applicazione la norma transitoria definita dell'art. 42 del dlgs n. 148 del 2015”.
Il prossimo incontro al ministero si terrà il 3 dicembre. La Direzione di Italcementi e il Coordinamento nazionale delle RSU hanno invece fissato il prossimo vertice in sede sindacale per il 25 novembre a Roma per definire i nuovi investimenti nei vari siti e i programmi produttivi. “Se non dovessero emergere sostanziali novità nel prossimo incontro, il Coordinamento Nazionale RSU proclamerà giornate di sciopero con diverse iniziative a sostegno della trattativa” conclude la nota nazionale dei sindacati.
Al termine dell'incontro di oggi anche Italcementi è intervenuta con una nota ufficiale nella quale afferma che "è emerso un quadro più chiaro rispetto ai nuovi provvedimenti normativi collegati al Jobs Act. Saranno necessari ulteriori verifiche e approfondimenti in sede di confronto con i sindacati e con i ministeri coinvolti. Emerge tuttavia fin da subito la possibilità di realizzare gli interventi di carattere industriale e organizzativo che l'azienda si è proposta ricorrendo a una copertura di ammortizzatori sociali più contenuta rispetto alle previsioni iniziali, con particolare riferimento alle strutture centrali di Bergamo. Su richiesta del ministero, l'azienda ha confermato il proprio piano di investimenti per il 2016".
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Lunedì scorso è intanto cominciato il confronto diretto tra Italcementi e i suoi lavoratori, un'assemblea in due turni per illustrare la situazione ai tanti dipendenti coinvolti nella vertenza che si è aperta nelle settimane scorse. L'affluenza è stata altissima, com'era preventivabile vista la precedente carenza di dialogo diretto coi vertici societari. Silvestro Capitanio e Giuseppe Agate, rispettivamente responsabile del personale e HR Director della società di via Camozzi, hanno approfondito alcuni punti che nelle passate settimane avevano destato non poche perplessità. Innanzitutto la cifra dei 1080 dipendenti a rischio, che è soltanto teorica: si tratta di una sorta di "ombrello aperto" per coprire il maggior numero di lavoratori, ma di fatto è impensabile che si arrivi a tali numeri, perché Bergamo sarà l'headquarter di HeidelbergCement in Italia e quindi una parte degli impiegati necessariamente dovrà rimanere. Inoltre l'azienda tedesca apprezza e manterrà – magari rivedendo – il CTG e l'i.Lab. La cifra spauracchio di 1080 licenziamenti è quindi del tutto teorica.
[La manifestazione dei lavoratori Italcementi delle scorse settimane]
Gli ostacoli del Jobs Act. I dirigenti hanno spiegato le loro strategie per garantire le massime tutele possibili. Di fronte alla crisi del settore, l'azienda ha dovuto muoversi con prepensionamenti, cassa integrazione (504 persone) e altre, numerose, misure di sostegno economico. Questo piano è stato varato a fine 2012 e prevedeva un possibile rinnovo della cassa integrazione fino al gennaio 2017, ma il Jobs Act ha reso di fatto impossibile proseguire con gli strumenti in vigore, prospettando una conclusione della cassa in corso al 31 gennaio 2016.
Per questo motivo l'azienda ha recentemente proposto un percorso a doppio binario: per 230 lavoratori (delle fabbriche di Monselice, Scafa, Sarche, Salerno e Castrovillari) una cassa integrazione «per cessazione dell'attività» fino al 31 gennaio 2017 (come già previsto); per un massimo di altri 850 dipendenti invece (sede centrale e cementerie principali) una cassa «per ristrutturazione» con durata fino al 24 settembre 2017. La somma delle due cifre porterebbe a un massimo di 1080 persone coinvolte, ma sono previsioni non ancora verificate con Heidelberg, che si è inserita nella situazione l'estate scorsa. Dopo il closing, i tedeschi apriranno il loro ventaglio di ipotesi da inserire nel progetto già avviato dall'azienda bergamasca.
Il nodo dell'articolo 42. Il Jobs Act, dunque, ha di fatto accelerato il problema, perché permette di coprire le cessate attività fino al 2015: per questo motivo Italcementi ha dovuto anticipare la decisione e ha conseguentemente studiato un percorso secondo i due binari esposti poc'anzi. Nella nuova legge è poi presente una norma transitoria, l'articolo 42, che prevede un salvadanaio per coperture sociali ulteriori, da poter usare in certi casi particolarmente gravi. Si tratta però di una valutazione di carattere politico, non assicurata sulla carta. Nel caso di esito positivo, la copertura dell'articolo 42 sarà attiva per l'annata 2017-2018. Dopo quella fase, per tutti i lavoratori coinvolti si attiverebbe la NASPI (sussidio di disoccupazione universale che sostituisce da maggio 2015 l'assegno unico di disoccupazione introdotto dalla Riforma Fornero), che nella più rosea delle prospettive permetterebbe ai dipendenti di arrivare al 2020. A tutto questo bisogna aggiungere il fatto che, in futuro, è possibile un'attenuazione della legge Fornero sulle pensioni e quindi diversi dipendenti potrebbero arrivare entro il 2020 all'obbiettivo contributivo.
[La manifestazione dei lavoratori Italcementi delle scorse settimane]
Sono considerazioni teoriche, che dipendono dall'azione politica del governo; ma i dirigenti Italcementi confidano nell'azione dei parlamentari bergamaschi per muovere grimaldelli politici e in quella della Regione per costruire misure accessorie di tutela. In questo senso, l'incontro previsto per giovedì 19 novembre a Roma con i ministri Poletti (Lavoro) e Guidi (Sviluppo economico) potrebbe dire qualcosa di più in merito all'attivazione dell'articolo 42.
Dal 2006 un calo di circa il 60 percento. Ma quando nasce davvero il problema Italcementi? Dal 2009 in poi, quando il mercato del cemento in Italia ha visto un costante ridimensionamento che ha portato un netto calo di produzione: dai quasi 50 milioni di tonnellate del 2006 ai circa 25 milioni di tonnellate del 2012. A fronte di ciò la dirigenza ha optato per una progressiva riduzione dei costi per 40 milioni di euro. Gli impianti di produzione sono stati ridotti a 6, con il passaggio di altri 3 a centri di macinazione che si sono aggiunti ai 5 già esistenti. Il tutto in vista di un'eventuale ripresa del mercato. Questa tuttavia non si è verificata e il calo è proseguito negli anni successivi, fino ai circa 19 milioni di tonnellate di questo 2015. E per il 2016 è previsto un ulteriore calo.