Che cosa significa che la Fed ha alzato i tassi d'interesse
La decisione era nell'aria già da diverso tempo, e nelle ultime ore ne è arrivata la piena ufficialità: la Fed, la banca centrale americana, ha alzato i propri tassi di interesse, precisamente dello 0,25 percento e portandoli dunque a 0,5. Un rialzo lieve, senz'altro, ma indice di una precisa visione dell'economia attuale e, soprattutto, di quella che ha da venire. La commissione a cui è affidato il compito di stabilire l'andamento dei tassi d'interesse della Fed, la Federal Open Market Committee, aveva già fatto trapelare, nell'arco del 2015, l'intenzione di prendere una simile decisione entro la fine dell'anno, e la consultazione di ieri, 16 dicembre, era l'ultima opportunità che aveva per farlo, dal momento che si riunisce solo ogni 6 settimane. Si tratta di una scelta molto significativa, nonostante la lievità del rialzo di cui si è detto: basti pensare che l'ultima volta che i tassi di interessi vennero aumentati correva il 2006. E sì, il primo pensiero che balza alla mente leggendo questa data è quello giusto: proprio prima che scoppiasse la crisi economica.
[Janet Yellen, presidente della Fed, annuncia la riduzione dei tassi d’interesse]
Federal Reserve
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Cosa sono i tassi d'interesse della Fed. Non che il tracollo dell'economia mondiale degli ultimi anni sia stato dovuto all'innalzamento dei tassi di interesse della Fed, sia chiaro. O meglio, è pur vero che tassi alti significa aumentare il rischio di bolle finanziarie, cioè una delle cause della crisi; ma l'aspetto temporale interessante è un altro, ovvero che l'ultima volta che le percentuali vennero rialzate l'economia mondiale stava, almeno apparentemente, benone. Ciò significa che c'è molto ottimismo circa il trend che si sta verificando da qualche tempo a questo parte. Ma, anzitutto, occorre chiarire cosa siano questi tassi d'interesse. Molto semplicemente, si tratta degli interessi che la Fed applica sui prestiti che compie alle banche americane, spesso inerenti al brevissimo periodo, nonché sui depositi che gli stessi istituti compiono nei confronti di quello centrale quando hanno troppa liquidità in cassa, al fine di evitare rischi di inflazione. Come si può facilmente intuire, il variare dei tassi d'interesse della Fed ha un necessario riflesso, non del tutto proporzionale, sugli interessi che poi le altre banche applicano, ad esempio, sui mutui alle famiglie o sui prestiti alle imprese. Ecco perché alterare il tasso di interesse della banche centrale significa avere la possibilità di incidere sull'andamento dell'economia, e in particolare dell'inflazione: più i tassi sono alti e meno sarà vantaggioso chiedere prestiti, tanto per le singole banche quanto per i normali privati, riducendo così la liquidità circolante e controllando l'inflazione; viceversa, in caso di rischio deflazione, i tassi si abbassano e la liquidità cresce e gira con maggior facilità.
Il significato dell'aumento della Fed. Secondo quanto detto finora, è chiaro come ad un innalzamento del tasso di interesse corrisponda un buono stato di salute dell'economia: se non c'è bisogno di immettere liquidità nel mercato vuol dire che quella già presente è sufficiente, e dunque non ci sono problemi economici. Un rilievo che va di pari passo con l'occupazione: più cresce il numero degli occupati, più soldi circolano per tutto ciò che comporta un rapporto di lavoro (a partire, semplicemente, dallo stipendio), e quindi meno necessità ci sarà di immettere denaro nel mercato, anzi, sarà necessario tenere sotto controllo l'inflazione; da qui, la tranquillità nel rialzo dei tassi di interesse. Occupazione e liquidità circolante sufficiente: elementi di un'economia che sta bene. Come, appunto, quella americana: il Pil è cresciuto, nel solo 2015, di circa il 4 percento, con previsioni al rialzo, e la disoccupazione è quasi ai minimi storici, intorno al 5 percento. Tutti motivi che hanno portato la Fed a dar credito allo stato attuale e futuro dell'economia statunitense. Certo, il rialzo, come detto, è stato minimo, segno di cautela: se le previsioni circa l'andamento economico non dovessero essere rispettate, una marcia indietro in primo luogo non sarebbe troppo traumatica per il mercato, e in secondo luogo permetterebbe di tornare ad uno stato tale e quale a quello precedente, senza invece regredire rispetto al punto di partenza.
Financial Markets Wall Street Federal Reserve
APTOPIX Financial Markets Wall Street Federal Reserve
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Alcune valutazioni circa questa decisione. L'Economist ha stilato un elenco di “pro” e “contro” della scelta della Fed, adducendo sotto i primi, fondamentalmente, il controllo del rischio inflazione e lo scoraggiare la speculazione e la creazione di bolle finanziarie, mentre sotto i secondi una possibile deflazione, una previsione forse troppo ottimistica del futuro andamento dell'economia e un eccessivo rafforzamento del dollaro. Quest'ultimo aspetto è il più cruciale, nonché il più incidente rispetto alle economie del resto del mondo, soprattutto per quanto riguarda i mercati emergenti. Il grande timore, per questi ultimi, riguarda la sostenibilità del debito, espresso in dollari e quindi sottoposto alle alterazioni della forza della valuta americana: un dollaro troppo audace potrebbe rendere il debito molto pesante, e inficiare il processo di sviluppo economico. Ma alla Fed sono molto ottimisti circa la crescita dei Paesi debitori, e hanno quindi ritenuto che si tratti di un rischio che si può tranquillamente correre. Alcuni dubbi sulla reazione degli emergenti, però, sorgono se si pensa al fatto che l'aumento dei rendimenti dei titoli valutati in dollari potrebbe portare gli investitori a puntare su quelli, con i capitali che lascerebbero così proprio questi Paesi, premiati in tempi di bassi rendimenti altrove. Per le economie europee invece, Italia compresa, i risvolti potrebbero essere positivi: dollaro forte significa euro debole, e quindi maggior facilità nell'export. A patto, si intende, di restare entro certi limiti.