La Norimberga cambogiana
A Phnom Penh, capitale della Cambogia, è iniziato il processo per genocidio che vede imputati i due più alti leader dei Khmer rossi ancora in vita, il "fratello numero 2" Nuon Chea, di 88 anni, e l'ex presidente della "Kampuchea democratica" Khieu Samphan, di 83. I due sono già imputati in un altro procedimento per crimini di guerra e crimini contro l’umanità il cui verdetto è previsto per il 7 agosto. I due ottuagenari seguaci di Pol Pot sono imputati per i trasferimenti forzati della popolazione dalle città alla campagna e per le esecuzioni dei soldati del regime del generale Lon Nol. Nel processo avviato mercoledì 30 luglio, che non si concluderà prima del 2016, le accuse riguardano invece i crimini commessi contro vietnamiti, musulmani e buddhisti di etnia chan durante il governo di Pol Pot. Il processo vuole far luce sulle atrocità compiute nei centri di reclusione, a partire dalla famigerata scuola-prigione S-21, dove furono assassinate almeno 15 mila persone e sugli stupri di cui si resero responsabili i Khmer rossi. La pena per entrambi potrebbe essere l’ergastolo. I procedimenti sono stati divisi per accelerare le procedure. Il Tribunale speciale, infatti, spera di chiudere i processi in tempo per poter vedere gli imputati iniziare la propria condanna.
L'obiettivo della Cambogia è quello di fare giustizia per le atrocità compiute durante gli anni ‘70 dal cosiddetto “Fratello numero uno”, Pol Pot, e dai suoi seguaci, in nome dell'instaurazione di un'utopistica società egualitaria e agraria. Il folle regime degli Khmer rossi si era proposto di fare tabula rasa del passato e - come spiega il sito AsiaNews.it – il Paese asiatico porta ancora le ferite della dominazione dei Khmer rossi, che hanno governato il Paese seminando morte e distruzione. In pochi anni il regime di Pol Pot ha eliminato - per fame o nei famigerati Killing Fields, campi di sterminio alle porte di Phnom Penh - quasi due milioni di persone (circa un quarto della popolazione). Molte delle vittime erano intellettuali, medici, insegnanti ed esponenti dell'elite culturale.
Chi sono gli imputati
Khieu Samphan, è stato capo di Stato dell'allora “Kampuchea democratica” dal 1976 al 1979, e dal 1985 ha guidato i Khmer rossi - cui si era unito già nel 1967 - nei negoziati di pace conclusisi nel 1991, ma l'anno seguente si oppose nuovamente al governo ufficiale, arrendendosi solo nel 1998. Nuon Chea, invece, è un ex politico comunista cambogiano ed ex ideologo capo dei Khmer Rossi. Era comunemente noto come "Fratello numero due" di comando per Pol Pot, che era il leader indiscusso durante il genocidio cambogiano.
Le polemiche sul processo
In molti hanno criticato il Tribunale Onu per corruzione e inefficienze perché fino ad oggi avrebbe colpito solo in parte i simboli del regime, senza garantire una vera giustizia al popolo cambogiano. Pol Pot è morto nel 1998 senza aver mai subito processi né incriminazioni per le atrocità commesse. Inoltre, molti dei vecchi funzionari di secondo piano e vecchi quadri del movimento maoista sono ancora oggi liberi e in molti casi ricoprono importanti ruoli di governo. Altri leader di quel governo, invece, sono morti o sono in condizioni di salute che non consentono di portarli davanti a un tribunale.
Pol Pot e il suo regime
Pol Pot è il più celebre dei vari appellativi con cui si fece chiamare il dittatore che guidò il regime dei Khmer rossi in Cambogia dal 1975 al 1979. Il suo vero nome era Salot Sar, nato nel marzo del 1925 nel villaggio di Prek Sbauv, nella Cambogia centrale. Nel 1962 diventa leader del Partito comunista cambogiano e comincia una dura lotta armata contro la monarchia del paese. Il 17 aprile 1975 i Khmer rossi, i guerriglieri da lui comandati, occuparono la capitale Phnom Penh. L’idea era quella di rendere la Cambogia una nazione agricola autarchica, priva di un’economia basata sul denaro e del tutto estranea alle influenze occidentali. I Khmer rossi abolirono il denaro, la proprietà privata e la religione, nonché le professioni ritenute “borghesi”. Subito dopo l’occupazione della capitale cominciò l’evacuazione di massa delle città. I cittadini furono trasferiti in fattorie collettive controllate dai Khmer rossi. Peggiore la sorte di chi finì nei “killing fields”, centri di detenzione, tortura e sterminio in cui venivano rinchiusi e uccisi i soldati e i funzionari del vecchio regime e, in generale, chiunque dovesse ricevere una “rieducazione”.
Pol Pot divenne primo ministro il 13 maggio 1976, mentre l’incarico di presidente fu affidato a Khieu Samphan. Il regime cadde a causa delle persistenti ostilità contro le autorità vietnamite che verso la fine del 1978 invasero la Cambogia, rovesciarono Pol Pot e, nel gennaio del 1979, instaurarono un governo fantoccio. Pol Pot e i suoi quadri di partito si rifugiarono nella giungla tailandese, portando avanti per quasi vent’anni una guerriglia contro i governi cambogiani che si alternarono nel corso del tempo. Il 15 aprile 1998 Pol Pot si suicidò ingerendo una miscela letale di farmaci dopo aver appreso che stava per essere consegnato a un tribunale internazionale. L’ultima testimonianza del dittatore in vita è un’intervista del giornalista della Far Eastern Economic Review, Nate Thayer, che l’ha incontrato due mesi prima della morte nella roccaforte dei ribelli Anlong Veng. In quell’occasione, Pol Pot confidò a Thayer che la sua coscienza era pulita.