Un viaggio nel tempo, la speranza

La meravigliosa fotografia “italiana” che ha cambiato la vita di Poonam

La meravigliosa fotografia “italiana” che ha cambiato la vita di Poonam
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[Foto in apertura di Alex Masi]

 

Per andare all’origine di questa storia bisogna tornare indietro nel tempo, precisamente di 32 anni. 3 dicembre 1984, Bhopal, stato del Madhya Pradesh, India. La mezzanotte è scoccata da poco quando un’enorme nube si alzò dallo stabilimento della Union Carbide India Limited, consociata della multinazionale americana Union Carbide specializzata nella produzione di fitofarmaci. Si trattava di 40 tonnellate di un gas altamente tossico, l’isocianato di metile. In pochi istanti diverse aree di Bhopal furono completamente travolte dalla nube: 2.259 persone morirono dopo aver inalato il gas, decine di migliaia furono invece avvelenate. Un articolo della NBC ha poi riportato, 15 anni dopo, i dati ufficiali di quella tragedia secondo il governo del Madhya Pradesh: i morti direttamente correlati all’evento sarebbero stati 3.787, ma è una stima al ribasso se si tiene conto che agenzie governative parlano addirittura di 15mila morti. Un documento ufficiale del governo, datato 2006, asserisce che l’incidente ha causato danni rilevabili a 558.125 persone, delle quali circa 3.900 risultano permanentemente invalidate a livello grave. A distanza di decenni da quella tragica notte, nell’area il tasso di mortalità è ancora 2,5 volte più alto che nelle zone limitrofe.

 

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Sono ancora diversi i processi, sia penali che civili, in corso presso tribunali americani e indiani. Nel giugno 2010, il tribunale di Bhopal ha emesso una sentenza di colpevolezza per omicidio colposo per grave negligenza nei confronti di 8 ex dirigenti indiani della UCIL (di cui uno già deceduto). La condanna emessa è stata del massimo previsto dalla legge indiana per questo tipo di reati: 2 anni di carcere e 100mila rupie (circa 2mila dollari) di multa. Una pena irrisoria se paragonata all’immane tragedia causata. Lasciando da parte i tribunali, le conseguenze di quanto successo le pagano ancora oggi i poverissimi abitanti della bidonville di Bhopal, perché anche il beffardo destino ci ha messo del suo in quella tragica notte del 3 dicembre 1984: il vento, infatti, spinse la nube tossica alzatasi dallo stabilimento proprio in una delle zone più popolate e povere della città, dove praticamente nessuno ebbe scampo.

A questo punto bisogna fare un nuovo salto nel tempo. Agosto 2009: Alex Masi, fotoreporter italiano freelance, si trova a Bhopal. Da diverso tempo compie viaggi in quella zona povera e abbandonata dell’India. L’intento del fotografo è documentare le gravi malattie che affliggono i bambini (e non solo) del posto in seguito alla contaminazione dell’acqua potabile dovuta alla sconsiderata attività della multinazionale americana Union Carbide negli anni precedenti al disastro. Ogni volta è come fare un viaggio all’inferno: lì la notte del 3 dicembre 1984 non è mai passata. Circa 100mila abitanti soffrono di malattie croniche per gli effetti immediati della fuga di gas di quella notte, mentre l’acqua, contaminata da scorie chimiche, ha fatto ammalare altre migliaia di persone. Il tutto in un contesto di assoluta povertà.

 

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Tra le vittime del disastro ambientale c’è anche Sachin, ragazzo che nel 2009, quando Masi lo conobbe, aveva solo 21 anni: affetto da paralisi e malformazioni ossee agli arti inferiori, era costretto a vivere con la famiglia in una baracca fatiscente fatta di terra e sterco di vacca. Masi aveva scelto di seguire la sua vita per raccontare, attraverso le immagini, come vivevano quelle persone dimenticate da tutto e da tutti. Oggi, a 7 anni di distanza da quei primi loro incontri, la vita di Masi e della famiglia del ragazzo è totalmente cambiata. Merito di uno scatto e di Poonam, la sorellina di Sachin. È lo stesso fotografo a raccontarlo su National Geographic:

«Un giorno, durante una delle mie visite a casa sua, ha cominciato a cadere una forte pioggia. È stato allora che ho visto Poonam, la sorella più giovane di Sachin, all’epoca una bambina, accovacciata sotto l’acquazzone in cerca di un po’ di sollievo dalla calura estiva, e ho cominciato a fotografarla. Poonam è nata “sfortunata”, con sei dita per piede, e il padre, superstizioso, credeva che avrebbe portato sfortuna a tutta la famiglia»

 

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Poonam aveva 6 anni quando Masi la immortalò in uno scatto che ha fatto, letteralmente, il giro del mondo. Perché nel maggio 2011, proprio questa foto ha vinto un importante premio, il Photographers Giving Back Award. Questo riconoscimento è nato nel 2008 in Svezia, con l’intento di premiare i migliori esponenti del fotogiornalismo mondiale e ispirare i più giovani a intraprendere una carriera tanto difficile quanto affascinante. La cosa particolare di questo premio, però, è il riconoscimento assegnato al vincitore: una sorta di fondo (composto da donazioni di privati, enti pubblici e sponsor) per finanziare sia i progetti lavorativi del fotografo vincitore che iniziative umanitarie nei confronti del soggetto della foto. Il fondatore del premio infatti, il fotoreporter Jonas Lemberg, voleva dare vita a qualcosa che fosse in grado, almeno in piccola parte, di cambiare in meglio il mondo attraverso la fotografia.

È così che 5mila dollari sono stati destinati alla realizzazione di un piano di sostegno a lungo termine che ha come obiettivo il benessere di Poonam, oggi 13enne, e che ha aiutato lei, Sachin e tutta la loro famiglia a uscire dallo stato di estrema povertà in cui versavano. Masi ha deciso di destinare anche la sua parte di vincita in denaro alla famiglia di Poonam, finanziando opere che permettano loro di essere autosufficienti. È una piccola cosa, una goccia nella tempesta, certo. Ma proprio tante gocce di acqua in un burrascoso pomeriggio agostano hanno permesso a Poonam di veder cambiata la propria vita.

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