Una app spiega che la classica non è musica per vecchi
Esa Pekka Salonen è direttore stabile della Philharmonia Orchestra di Londra e della Los Angeles Symphony Orchestra. È un compositore, perché non tutti i compositori sono morti. È uno, insomma, che ha a che fare con il passato e il futuro della musica, ma che vive nel presente. Come fare, allora, per allacciare le mani dei grandi compositori a quelle delle future generazioni? Salonen ha individuato nella tecnologia lo strumento più convincente.
http://youtu.be/jZ6xH0ZHqyY
Ha un canale radio su iTunes dove dà consigli su brani e percorsi musicali e ultimamente ha messo la faccia, letteralmente, per pubblicizzare una app per iPad. L’ha creata lui, curata fin nei minimi dettagli, per spiegarci come funziona l’orchestra. Corredata di note biografiche e di notizie di critica musicale, gli strumenti si risvegliano alla magia del touchscreen, colorandosi nel momento in cui cominciano a suonare. Le finalità sono dichiaratamente didattiche. La nuova app dà infatti agli utenti la possibilità di spaziare tra ere e stili diversi, senza nulla togliere, però, alla qualità delle registrazioni.
Touchscreen è la parola– chiave, per Salonen, perché se la tecnologia sta diventando (sempre di più) una questione di dita, anche la musica non è (mai) stata da meno. La musica è «un’espressione del corpo, non del cervello, ha dichiarato lo stesso Salonen nell’intervista rilasciata alla Stampa.
La app della Apple vuole correggere l’idea che la musica classica sia «roba da vecchi noiosi» (le parole sono del compositore), presentandola alle nuove generazioni in una forma accattivante e, perché no, anche divertente. Salonen, del resto, mette in guardia contro «atteggiamenti elitari», perché «non hanno senso». Ammonisce, però, che comporre non è sapere combinare gli elementi messi a disposizioni da una app, ma è (almeno) sapere suonare un pianoforte.
Ricorda che la musica dovrebbe essere ascoltata dal vivo, sempre. Come una rappresentazione teatrale, ogni esecuzione è unica, dipende dalla qualità degli strumenti, dai musicisti e, ovviamente, dal pubblico. Ecco perché, dice, le ricostruzioni filologiche non potranno mai restituirci del tutto la musica del passato. Sono delle buone, anche ottime, fotografie sonore, ma «la musica è vita».