I nuovi Stati ora sono le metropoli La città globale è diventata realtà

Le metropoli stanno acquistando un volto sempre più definito rispetto al Paese a cui appartengono, tanto che New York – per fare un esempio – sarebbe più simile a Shanghai che al resto degli Stati Uniti. Lo afferma l’Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD). La penisola di Manhattan ha uno stile che non è condiviso dalle altre città americane, ma lo si può ritrovare, per certi aspetti, nella modernità futurista dei grattacieli cinesi o nello spirito multiculturale di un quartiere londinese. Pare che si stia formando una sorta di rete inter-metropolitana che valica i confini degli Stati, per congiungere località geograficamente molto distanti.
Lo Stato-metropoli. Città che vai, Paese che trovi, si potrebbe dire. Siamo tornati – ammesso che ce ne siamo allontanati - a uno spirito di municipalismo, di cui l’Italia vanta gioie e dolori? Forse. Il punto che la OECD vuole illustrare tende a mostrare come il concetto di Paese vada un poco riformulato, o quantomeno aggiornato. L’economia e la tecnologia stanno plasmando una nuova geografia, in cui la distanza chilometrica tra un punto e l’altro della Terra conta molto di meno. Un giorno, magari, saremo chiamati a parlare di Stato-metropoli, o Stato-megalopoli, disperso nello spazio, ma dotato degli stessi marchi commerciali, come Starbucks, H&M, Zara, di simili densità abitative e da spazi verdi circoscritti a poche zone espressamente adibite a svolgere la funzione di parco ricreativo.
Le città si assomigliano. Le grandi conurbazioni hanno molte affinità. Il numero dei loro abitanti e l’economia interna superano la popolazione e l’economia di Paesi interi. Le aree metropolitane di Città del Messico, Delhi, Shanghai e Tokyo hanno più di venti milioni di abitanti e sono più grandi della maggior parte dei Paesi europei. Le metropoli, perciò, devono affrontare e risolvere problemi simili, che riguardano il trasporto pubblico, la disponibilità di case, la sicurezza, l’offerta e la domanda di lavoro, migrazioni e educazione. In una ricerca che indaga sulle tendenze nel campo dell’istruzione, la OECD afferma che le città potrebbero trarre maggior beneficio imparando le une dalle altre, che se guardassero esclusivamente alle esperienze degli altri centri del loro Paese. In altre parole, dovrebbero cercare di pensare al di fuori degli schemi e a livello internazionale. «Quando parliamo di Paesi, parliamo spesso di quello che ci divide, la lingua e la cultura. Ma quando parliamo di città, affrontiamo sfide molto simili», ha affermato Andreas Schleicher, il direttore educativo di OECD.
Vivere in una metropoli. La presenza di un’alta, a volta altissima, concentrazione di persone comporta degli aspetti che si ripropongono più o meno identici in ogni area metropolitana. La maggiore offerta di lavoro si accompagna anche a tassi di disoccupazione che possono diventare preoccupanti. In una stessa città, dunque, convivono estremi di ricchezza con estremi di povertà e la classe media vive lottando per non perdere i suoi privilegi, nella speranza di accedere ai gradini più alti della scala sociale. Ciò comporta sforzi di mobilità sociale, tentativi che a volte vengono favoriti dalle amministrazioni cittadine e da imprese private, e a volte vengono svantaggiati, o addirittura repressi. Dipende dal periodo storico, dall’ambito lavorativo e, ovviamente, dai contatti. Il costo della vita, le esigenze del mercato e il “ritmo” dell’esistenza mettono parecchia pressione sugli abitanti di Seoul, Hong Kong, Sidney.
Economia e trasporti. Il OECD ha calcolato il peso economico delle metropoli per quanto riguarda il Pil nazionale e ha notato che in Francia e in Giappone il 70 percento della crescita del prodotto interno lordo tra il 2000 e il 2010 è da attribuirsi alle grandi conurbazioni. Il dato tende peraltro ad aumentare. Un altro aspetto simile è rappresentato dai trasporti. Le reti di connessione urbana sono cresciute in tutte le metropoli, di pari passo (o quasi) con la crescita dell’area cittadina, ma sono nate anche iniziative di trasporto alternativo, che mirano a ridurre l’inquinamento – altro problema condiviso. I programmi di bike-sharing sono nati a Copenhagen nel 1995 e oggi si trovano in più di 600 città in tutto il mondo. A Hangzhou, in Cina, si possono noleggiare circa 80mila biciclette.
La città globale. Le metropoli e le megalopoli hanno poi un afflato decisamente internazionale. Basta camminare per una strada qualsiasi e contare il numero di bar e ristoranti che offrono tipi di cucina provenienti da ogni parte del globo. Oppure è sufficiente prestare orecchio alla quantità di lingue diverse che si sentono parlare dai passanti. Si sono sviluppati dei microclimi culturali sovranazionali, caratterizzati da mescidanze linguistiche e etniche che spesso danno luogo a nuove realtà. Un hipster di Londra, insomma, si sente più a suo agio a Manhattan, che in una cittadina di modeste dimensioni della Gran Bretagna. Stiamo toccando con mano il pieno significato di “città globale”.