La donna della Valle Imagna oggi fra i Giusti delle Nazioni

A Padova, nel 2010. A Pistoia l’11 aprile e a Varsavia il 5 giugno scorso il nome di Antonia Locatelli, di Fuipiano in Valle Imagna, è stato annoverato fra quelli dei Giusti tra le Nazioni. Antonio Carminati, del Centro Studi Valle Imagna, ne traccia il profilo.

La donna della Valle Imagna oggi fra i Giusti delle Nazioni
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Antonia Locatelli, un nome e un cognome come tanti a Bergamo, una donna concreta, semplice e coraggiosa, espressione del volontariato sociale, alla quale ormai da più parti è stato attribuito l’appellativo di Giusto del Mondo. Un titolo che osiamo pronunciare con voce sommessa, per trasmettere la memoria delle vittime del genocidio del Rwanda (dove si è consumata la tragedia della nostra missionaria), esprimere la solidarietà ai sopravvissuti, dichiarare la giustizia e la costruzione di una società fondata sul rispetto della dignità umana e sul valore delle differenze. Un nome per il quale Bergamo vale l’impegno dei suoi molti volontari e missionari sparsi nel mondo.

Tonia - così la chiamavano gli amici - è nata a Fornovo San Giovanni (Bergamo) il 16 novembre 1937, dove la famiglia si trovava l’inverno con le mucche, perché il papà faceva il bergamino transumante dal monte al piano con la sua modesta mandria di vacche bruno alpine. Trascorre l’infanzia e l’adolescenza a Fuipiano, un villaggio della Valle Imagna situato sulle pendici del Resegone. Col crollo della civiltà bergamina, Antonia emigrò in Svizzera nel 1956, all’età di diciannove anni, in cerca di lavoro, sulle orme dell’esperienza già tracciata pochi anni prima dalla sorella Caterina. In seguito fece lo stesso anche Battista, il fratello, che là si sposò e costituì la sua famiglia. Fu proprio in Svizzera che Antonia maturò la scelta missionaria. Oltre a lavorare, si mise presto a studiare, per conseguire un titolo di studio. Lavoro e studio. Apprendistato di cuoca e di aiuto familiare, quindi diploma di insegnamento per l’artigianato e l’agricoltura. All’inizio degli anni Sessanta, intraprese un cammino con le Suore di Carità della Santa Croce di Ingenbohl, ma in seguito entrò nella congregazione delle Suore Ospedaliere di Santa Marta, con sede a Brunisberg (Friburgo - Svizzera), dove rimase cinque anni, accettando la vita di comunità, ma senza prendere i voti definitivi.

Nel 1968 si trasferì in Africa in una missione nel Benin; rientrò nel 1970 per unirsi a un gruppo di consorelle ospitaliere in partenza per il Rwanda, con l’obiettivo di fondare una missione a Nyamata, un centro di ottantamila anime situato a circa trenta chilometri a Sud della capitale Kigali. Laggiù fondò e diresse una scuola (Cerai) per insegnare alle ragazze, oltre alla lingua francese, le attività domestiche e, in particolare, l’allevamento razionale degli animali e l’acquisizione di alcune pratiche agrarie e di trasformazione dei prodotti agricoli.



Pur non essendo inserita in modo formale nella Congregazione delle Ospitaliere, rimase sempre unita alle suore di Santa Marta, in principio collaborando nella gestione del dispensario, del centro nutrizionale, della maternità e per i vari servizi nella parrocchia locale, e successivamente applicandosi sul piano educativo e didattico, facendosi quindi parte diligente nel proporre e sostenere una propria autonoma linea operativa. Una sorta di via personale allo sviluppo della regione. Era conosciuta come l’angelo dei diseredati, perché la sua azione si rivolgeva a tutti i bisognosi, di qualsiasi etnia, religione o condizione sociale. Tonia aveva un piglio deciso, un carattere rustico e apparentemente burbero, ma celava un cuore senza uguali che la faceva amare da tutti. Assistette, all’inizio del mese di marzo 1992, alle ondate di violenza omicida nella regione del Bugesera, nella parte Sud-orientale del Rwanda, dove lei operava, prime prove dei massacri di massa perpetrati dagli estremisti Hutu - che usavano la radio per incitare all’omicidio - ai danni dell’etnia Tutsi.

Nella notte tra il 9 e il 10 marzo 1992, il giorno dopo quella dichiarazione, Antonia fu freddata a Nyamata da due colpi di arma da fuoco. Aveva 55 anni. Il primo proiettile la colpì alla bocca - c’è chi dice per evidenziare il suo errore principale, ossia quello di comunicare al mondo intero ciò che stava accadendo - e il secondo la raggiunse al cuore. Incurante del coprifuoco, era scesa in strada, sfidando il pericolo in agguato nel buio della notte, per soccorrere un gruppo di profughi ammassati nelle Scuole elementari dell’istituto e persino nella stalla dove c’erano le mucche, oltre il recinto e al di là della strada. A Nyamata, in quei giorni, avevano trovato rifugio migliaia di profughi, schiere di diseredati affamati e senza casa che, temendo le ritorsioni dei militari, cercavano protezione nelle missioni.

Grazie al sacrificio di Antonia Locatelli si salvarono almeno trecento Tutsi nascosti nel suo istituto.
Il governo rwandese, guidato dal presidente Habyarimana, dovette fermare i massacri a causa della pressione mediatica prodotta dalla coraggiosa denuncia della missionaria italiana. Antonia Locatelli è sepolta a Nyamata, vicino alla chiesa all’interno della quale, solo due anni dopo, furono massacrati un migliaio di Tutsi e che oggi è diventata una sorta di monumento e sacrario nazionale.

Il 4 luglio 2010 il governo rwandese le ha conferito il premio Umurinzi, per la sua azione contro il genocidio e il 17 ottobre dello stesso anno le è stata dedicata una pianta nel Giardino dei Giusti del Mondo di Padova. L’11 aprile 2014 il suo nome è stato scolpito su una lapide del Giardino dei Giusti di Pistoia e il 5 giugno 2014 le è stato dedicato un albero nel primo Giardino sorto in terra polacca, a Varsavia, nel quartiere di Wola, vicino al luogo in cui sorgeva il Ghetto. Accanto a lei il premier della svolta democratica in Polonia Tadeusz Mazowiecki, Marek Edelman – uno dei dirigenti della insurrezione del 1943 nel ghetto,  la giornalista russa Anna Politkowska, Jan Karski – il polacco emissario in Occidente che inutilmente provò a squarciare il velo sulla Shoah – e Magdalena Grodzka Guzowska, che salvò numerosi bambini ebrei dal ghetto di Varsavia.

(Antonio Carminati)

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