La prima Dea europea

Le parole di Caldara a Cronache di Spogliatoio: «Atalanta una famiglia. Gasp un martello»

Il difensore di Scanzorosciate, ora al Venezia, ha ripercorso gli ultimi anni difficili della sua carriera, ricordando con emozione gli inizi a Bergamo

Le parole di Caldara a Cronache di Spogliatoio: «Atalanta una famiglia. Gasp un martello»
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di Fabio Gennari

«Alcuni giorni fa abbiamo giocato contro la Roma. Ho segnato, non accadeva da 3 anni, 10 mesi e 26 giorni. Un tempo infinito. Se guardate il fermo immagine della mia esultanza, è proprio sotto allo striscione del "Roma Club – Bergamo". Una casualità incredibile, un cerchio che si chiude. C’erano anche Nicole e Alessandro allo stadio: "Siamo felici, perché ti vediamo come prima di questi tre anni. Anche io e te, siamo un’altra coppia. Sei un’altra persona. Felice, finalmente". Senza di loro e senza i miei genitori non ce l’avrei mai fatta».

Mattia Caldara è un figlio di Zingonia, cresciuto nel vivaio atalantino e nato a Bergamo. Anzi, a Scanzorosciate, una manciata di chilometri dal centro città. Dopo anni difficilissimi, zeppi di infortuni e problemi, con tante certezze frantumate da mesi in cui il pieno recupero sembrava lontanissimo, a Venezia sta ritrovando la gioia di scendere in campo e in una recente intervista rilasciata al portale Cronachedispogliatoio.it ha ripercorso tutto quello che ha vissuto. Nel suo racconto ci sono anche alcuni passaggi relativi all'Atalanta e da cui si capisce molto bene che la genesi della Dea di Gasperini è molto particolare.

«"Questo ambiente vale una Ferrari, ma viene sfruttato come una 500". Nessuno, in quel momento, riusciva a comprendere completamente quelle parole - ha detto Caldara parlando di Gasperini -. Un credo, la consapevolezza di avere in mano un gioiello da lucidare, far brillare e il cui valore sul mercato era degno delle migliori boutique. Quando ci ha detto quella frase, dentro di sé sapeva già come trasformare la 500 in una Ferrari. Solo che nessuno intorno a lui riusciva a vederlo. Senza accorgercene, però, la nostra mentalità era cambiata. Dopo ogni vittoria ci ripeteva: "Ragazzi, non è la salvezza il nostro obiettivo". E iniziò a farlo da dicembre, per evitare un rilassamento. Ci attaccava frasi motivazionali nello spogliatoio, come quella di Michael Jordan: "Ventisei volte mi hanno affidato il tiro finale e l’ho sbagliato. Ho fallito più e più volte nella mia vita. Ed è per questo che ho avuto successo"».

Il primo anno della Dea gasperiniana è stato quello del ritorno in Europa, Caldara lo racconta così: «In quel periodo, all’Atalanta la mentalità stava mutando sotto i nostri occhi. Eravamo tutti giovani e senza figli, con un’esperienza minima in Serie A. Spensierati. Avevamo installato un ping-pong al centro dello spogliatoio, la gente arrivava anche un’ora e mezzo prima dell’allenamento per sfidarsi fino all’ultimo colpo. Nascevano delle sfide epiche. Così siamo diventati famiglia, così l’Atalanta ha spiccato il volo. Da una parte il Gasp, martello mentale, dall’altra una famiglia di ragazzi. Che alchimia! Bastava uno sguardo, anche in campo. Quella squadra si capiva in un attimo. Una cosa rara».

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