Dal Vesuvio a Bergamo in rima L'Atalanta ha la sua poetessa

Dal Vesuvio a Bergamo in rima L'Atalanta ha la sua poetessa
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«Mi chiedi se ci salveremo? Certo che ci salveremo, il mio è un sì netto. A dispetto di tutti i gufi che ci vogliono in B». Parola di Alessandra da Vico Equense. Oggi vi raccontiamo la passione viscerale di una poetessa di 38 anni che vive nella penisola sorrentina ma che si sente bergamasca dentro. Docente di scuola dell’infanzia e insegnante a Portici, laureta in Lettere Moderne con 110 e lode, Alessandra ha il sorriso coinvolgente di chi è baciato ogni giorno dal sole del Vesuvio.

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La prima volta nel 2013. Sentirla parlare di Atalanta è un piacere, lei che è giornalista pubblicista, adora i bambini ed è perfino riuscita a coniugare la propria passione per la poesia con una gara della Dea. Così racconta la prima gara vista a Bergamo dal vivo. «Era Atalanta-Bologna del 27 aprile 2013, ed ero posizionata nel parterre di tribuna. Ero talmente emozionata che non mi accorsi né della pioggia che scese scrosciante per tutta la gara, né che fosse sabato e che quindi giocasse solo la Dea: ancora sorrido se penso alla faccia sorpresa della mia carissima amica bergamasca Barbara, quando le chiesi all’intervallo cosa stessero facendo le altre squadre. Alla fine arrivò il pareggio di Gilardino, ma io ero rapita da tutto il contorno dello stadio: per la prima volta ci mettevo piede. Tachicardia a mille! In quell'occasione ho conosciuto di persona tanti amici nerazzurri incontrati prima su Facebook (Enzo, Max, Christian, Gino, la stessa Barbara), e a fine partita sono riuscita a stringere la mano e scambiare qualche battuta con i miei idoli del campo, German Denis in primis. Un sogno diventato realtà».

 

 

Un’emozione fatta poesia. Quei giorni furono talmente emozionanti e unici che la riccioluta tifosa napoletana ha perfino scritto “Salita in Città Alta”, poesia che ha vinto nel 2014 Premio Letterario Internazionale “Isabella Morra il mio mal superbo”, indetto dalla Casa della Poesia di Monza.«Ero stata a Bergamo l’ultima volta addirittura nel 1982, ci sono tornata ed è stato incredibile. Guido Oldani, presidente onorario di giuria, quando mi strinse la mano per congratularsi, mi disse che mai e poi mai avrebbe pensato che quella poesia fosse stata scritta da una persona non nata a Bergamo, proprio per l’amore sviscerato che traspariva dai versi. Titos Patrikios, poeta greco contemporaneo, scriveva: "Dove uno vive, lì ama. // Qualsiasi cosa uno viva, l’ama". Quando penso a Bergamo, sebbene io abiti a chilometri di distanza, penso a questo».

 

“Salita in Città Alta”

 

Si respira il tempo
assieme all’aria
tra i profili degli aceri rossi
e il verde delle montagne.

Il silenzio dignitoso dei vicoli
ha profumo di tiglio
e sapore di grappa.

Ti si incolla addosso
come polenta al paiolo.

Ha poche rughe Piazza Vecchia
accoccolata nei suoi umori.
Sulle sue pietre sono ancora freschi
i passi della storia.

Un soldato tebano dalla pelle d’oro
si erge in alto
a guardia di una fede

e - tenero - custodisce i segreti
di una bambina
che giocava felice tra i leoni
e precoce interrogava le sfingi
di pietra della fontana.

Segreti incastonati
tra quattro porte
e centottanta rintocchi.

Bergamo ti entra dentro
come dardo di Cupido,
come la più bella e antica
dichiarazione d’amore.

Alessandra Dagostini, 30/04/2013

 

Meglio a casa che al San Paolo. Alessandra soffre talmente tanto durante le gare che dal 2000 non mette piede al San Paolo di Napoli («Ogni volta era una tortura per me dover nascondere la sciarpa sotto i maglioni, oppure seguire la gara senza commentare, o peggio ancora esultando in silenzio») e il racconto di come è nato il suo amore per la Dea è l’esempio più lampante di cosa significhi tramandare qualcosa “di padre in figlia”.

Il padre è della Val Seriana. «Ce l’ho nel sangue il tifo per la Dea. Mio padre è nato a Gazzaniga, in Val Seriana, ma parte della sua famiglia si trasferì qui a Napoli nel dopoguerra. E lui, da bergamasco doc ed ex calciatore, è sempre stato innamorato pazzo dell’undici orobico. Una passione che ha trasmesso a me, la sua unica figlia, crescendomi “a pane e Atalanta”. Da piccola mi raccontava la storia di Atalanta, per me era la favola più emozionante e sognavo di diventare un giorno quell’eroina bellissima, che eccelleva nella corsa, indomita e fiera, proprio come la squadra che ne portava il nome».

Essere atalantina: un vanto. Fin dall’asilo, la piccola Alessandra vedeva solo nerazzurro. «Il mio amore per la Dea cresceva in maniera esponenziale. A soli cinque anni i miei quaderni di scuola erano strapieni di scudetti e di giocatori: la derisione dei miei compagni di classe, tifosi del Napoli, era scontata ed eravamo perennemente in lotta. Ricordo ancora i ceri accesi per tutta la casa a impedire le sconfitte, i pianti disperati quando si scendeva in B o quando andava via qualche gioiello del vivaio, le grandi feste per le risalite. Avrei dovuto chiamarmi Angela, come entrambe le mie nonne. Mio padre si distaccò da questa tradizione di famiglia, scegliendo per me il nome di Sant’Alessandro, patrono di Bergamo. Ho sempre vissuto questa cosa come un grande vanto, sebbene sia nata e cresciuta a Vico Equense, in Penisola Sorrentina. Tifare Atalanta, è un atto d’amore congenito, quello che dura davvero per sempre».

Pinilla mattatore al San Paolo. In attesa di affrontare il Torino, la domanda sull’ultimo impegno della Dea in casa del Napoli è scontata. Ma lei, napoletana atalantina, come ha vissuto il match? «Male, ero in preda all’ansia, come tutte le volte che si incontrano queste due squadre. Napoli-Atalanta è la partita che non vorrei mai vedere, proprio per il carico emozionale che mi comporta sin da quando ero alle elementari. Non è mai stato facile tifare Atalanta qui in Campania, ho dovuto lottare per difendere la mia fede calcistica. La rivalità è sempre stata fortissima. Per l’1-1 di due domeniche ero a casa, comodamente in poltrona e con i telefoni rigorosamente spenti. Penso che l’Atalanta abbia fatto una buonissima gara dimostrando, anche in dieci, di essere ancora viva e di avere tutte le carte in regola per potersi salvare. E se poi non è Denis a segnare, ci pensa Pinilla... Con il Napoli diamo sempre il meglio di noi, non c’è che dire, e questo mi rende orgogliosa».

 

 

Grazie Cola, avanti Reja. Dopo Colantuono, Edy Reja: che opinione si è fatta della situazione? «Ricorderò sempre con affetto e stima Colantuono per tantissimi motivi. A volte certi cicli purtroppo finiscono e forse è necessario cambiare. La mia opinione su Edy Reja è altamente positiva. È un allenatore di grande esperienza, che ha allenato squadre di livello con ottimi risultati, sicuramente il giusto “traghettatore” in questo momento non proprio facile, dove si deve lavorare su più fronti per cercare di salvare una squadra che lotta per non retrocedere. Mi piace molto come Reja analizza le partite, con rigore, competenza e senza trincerarsi dietro a falsi alibi o ad altro. Sono sicura che saprà stupirci».

Il mito: Glenn Stromberg. L’ultima battuta, Alessandra da Vico Equense la regala per il giocatore che più di tutti le è rimasto nel cuore: il biondo scandinavo che ha segnato la storia atalantina. «Glenn Peter Stromberg, il capitano dei capitani. Chi come me è stato bambino negli anni Ottanta non può non averlo amato in modo assoluto. Lui, il “vichingo” biondo venuto dal Nord, che imperava a centrocampo con la sua maestosità, prima ancora che con la sua bravura, e che quando staccava da terra, con il suo metro e novanta d’altezza, sembrava salire al cielo più di tutti gli altri, facendoci sognare ad occhi aperti. Avevo una sua foto sotto il vetro della mia scrivania e la guardavo come se fosse il più grande mito vivente. E lì è sempre rimasta a testimoniare con gli anni come si diventa reali campioni di calcio, modelli di classe e di stile che hanno amato la maglia sino a farla diventare una seconda pelle. Un grande esempio di completezza e di moralità, sia dentro che fuori il campo, un’autentica bandiera, come poche. Voglio ricordare anche giocatori come Carrera, Magrin, Cantarutti, che hanno fatto grande la storia della Dea. E poi l’indimenticabile “Grisù”, Chicco Pisani, stella finita anzitempo tra le stelle. Tutti avranno sempre un posto speciale nel mio cuore nerazzurro».

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