Perfino quello che è mancato dice che l’Atalanta è grande

Perfino quello che è mancato dice che l’Atalanta è grande
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La grandezza di quanto ha fatto e sta facendo l’Atalanta di Gian Piero Gasperini si vede perfino nelle mancanze. In questo periodo dell’anno si fanno bilanci e si guardano tutti gli indicatori che hanno reso importante il 2019, ma basta cambiare la prospettiva e prendere in considerazione ciò che è mancato, per rendersi conto di quanto sia diventato grande il mondo nerazzurro. In campo e sugli spalti, sono state anche le assenze a dare la giusta misura di tutto. Lavorare per colmare alcuni vuoti nel 2020 non può che essere l’obiettivo comune.

 

 

Attacco atomico senza Duvan Zapata. Dal punto di vista tecnico, l’assenza di Zapata è senza dubbio un peso enorme per le dinamiche della Dea. All’inizio del 2019 si parlava del centravanti colombiano come di un serio candidato alla Scarpa D’Oro, gol a raffica e prestazioni da applausi hanno accompagnato una crescita che lo ha definitivamente consacrato: Gasperini e Percassi, in estate, hanno sempre parlato di cifre da capogiro per strapparlo a Bergamo e all’Atalanta. L’inizio della nuova stagione ha confermato il numero 91 della Dea sugli stessi numeri del passato, ma dal 12 ottobre il suo mondo si è ribaltato. L’infortunio muscolare, il recupero a doppia velocità per un rientro che sembrava molto vicino e che invece si sta completando in questi giorni. Nonostante l’assenza per oltre due mesi e mezzo del centravanti titolare, la Dea ha fatto quadrato e ha continuato a macinare gioco conquistando il quinto posto in campionato con il miglior attacco del torneo (43 gol) e la qualificazione agli Ottavi di Champions League con sette punti strappati proprio mentre Duvan Zapata non c’era. In questi giorni di vacanza per tutti, lui lavora a Zingonia. Da gennaio lo rivedremo e con il Valencia il bomber ci sarà.

 

 

Tifosi: sostegno costante, manca solo la verità. Tutto sembra ovattato, tutto è bellissimo e la gara con il Milan è finita con la squadra e la gente a cantare e saltare insieme. Nel 2019 però sono anche successe cose strane e la punta negativa si è toccata nella notte di Firenze, dopo il fischio finale della semifinale di andata della Coppa Italia. Ne abbiamo parlato tante volte, non smetteremo di farlo nemmeno nei prossimi mesi e l’unico obiettivo è la verità. Chi ha sbagliato dovrà in qualche modo risponderne, se ci sono responsabilità devono venire fuori: appena prima del casello di Firenze Sud è successo qualcosa di veramente grave. Non dimentichiamocelo. E tuttavia, nonostante gli occhi pesti e le teste ferite, il cuore dei tifosi non si è mai fermato. Le immagini e i video di quella notte hanno unito ancora di più la famiglia nerazzurra e le dimostrazioni d’affetto che abbiamo visto in questi mesi sono state enormi: i venticinquemila di Roma per la finale di Coppa Italia, i tanti esodi in Italia e in Europa per seguire la Dea e il sostegno incondizionato di un popolo che accompagna Gomez e compagni in ogni situazione. Oltre ogni risultato. Solo e sempre per la gioia di vedere “11 ragazzi in mutande” (così dicono i detrattori della magia pallonara) che indossano la maglia più bella di tutte.

 

 

Nessun trofeo in bacheca, ma è un dettaglio. Già, oltre ogni risultato. Perché che vinca o che perda, la squadra orobica ha vinto il trofeo più importante di tutti: quello della credibilità. È pazzesco vedere quanto siano grandi e diffusi i consensi che arrivano da ogni angolo d’Italia, eppure nella finale di Coppa Italia è stata la Lazio a vincere. E gli stessi capitolini hanno poi trionfato pure in Arabia Saudita contro la Juventus nella Supercoppa. Ma, ricordate bene, il 15 maggio prima di premiare i vincitori si è dovuto aspettare che la squadra nerazzurra uscisse dalla clamorosa morsa d’affetto che ha travolto i giocatori in lacrime. Pochi giorni dopo quella sconfitta, la Dea ha pareggiato a Torino e si è guadagnata con il Sassuolo all’ultima giornata il pass per la Champions League. Poi c’è stato il sorteggio a Montecarlo, il 4-0 di Zagabria e il 3-0 di Kharkiv. Tutto talmente bello che diventa difficile spiegarlo a parole. E allora il Buon Natale, sincero e sentito, è per tutti quelli che anche nelle mancanze vedono una grande vittoria. Perché la speranza è di riuscire, un giorno, a cucire qualcosa sul petto. Ma quello che batte dentro è qualcosa che solo chi lo vive può capirlo. Si chiama senso di appartenenza ad una grande storia chiamata Atalanta.

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