La svolta

Ascom sugli affitti brevi: «Finalmente c'è l’obbligo per AirBnb di versare la cedolare secca»

La Corte ha dato parzialmente torto nel ricorso sul regime fiscale italiano e al contempo ragione sull'obbligo di un rappresentante fiscale

Ascom sugli affitti brevi: «Finalmente c'è l’obbligo per AirBnb di versare la cedolare secca»
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Dall'Unione europea arriva una svolta sugli affitti turistici brevi: Airbnb dovrà riscuotere e versare allo Stato italiano la cedolare secca sugli affitti brevi. Lo dice la sentenza della Corte di Giustizia dell'Ue, partita da una vertenza iniziata nel 2017 e pronunciata nella mattinata di oggi - giovedì 22 dicembre - in Lussemburgo, in merito alla legittimità della normativa italiana che obbliga ai portali di prenotazione online sia ad applicare una ritenuta del 21 per cento sulla somma dei corrispettivi riscossi per conto delle locazioni non imprenditoriali, sia a trasmettere all'Agenzia delle Entrate i dati relativi ai contratti di locazione conclusi tramite gli stessi portali.

Ora toccherà al Consiglio di Stato pronunciarsi, come sottolinea Federalberghi, recependo la sentenza europea che consentirà all'Agenzia delle Entrate di recuperare quelle imposte non pagate durante «sei anni di sfacciata inadempienza, applicando le relative sanzioni». Ma anche di «mettere ordine nella giungla degli appartamenti a uso turistico, che operano come strutture ricettive a tutti gli effetti senza rispettare le regole imposte ad alberghi, affittacamere e bed and breakfast».

L'Italia può quindi chiedere a Airbnb di pagare la ritenuta d'imposta sugli affitti brevi. Tuttavia, la Corte Europea ha chiarito che imporre un rappresentante fiscale in Italia per poter operare da sostituto d'imposta è contrario al diritto europeo, trattandosi di «una restrizione sproporzionata alla libera prestazione di servizi». La Corte ha quindi dato parzialmente torto ad Airbnb nel ricorso sul regime fiscale italiano per gli affitti brevi (introdotto nel 2017), dandogli al contempo ragione sulla parte relativa all'obbligo di designare un rappresentante fiscale, introdotto dalla stessa legge.

«Airbnb - fa sapere l'azienda - ha sempre inteso prestare massima collaborazione in materia fiscale e supporta il corretto pagamento delle imposte degli host applicando il quadro europeo di riferimento sulla rendicontazione, noto come DAC7. L’azienda non è dotata di un rappresentante fiscale in Italia che possa svolgere da sostituto d’imposta. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito che l’obbligo di designare un rappresentante fiscale in Italia è in contrasto con il diritto europeo. In attesa della decisione finale da parte del Consiglio di Stato, continueremo ad implementare la direttiva UE in materia».

La Bergamasca e il problema con gli affitti turistici brevi

Questa estate (ne abbiamo parlato in maniera approfondita qui) Bergamo e la sua provincia contava 2.377 annunci pubblicati sul portale Airbnb. Tra questi, 1.839 (ovvero il 77,4 per cento totale) si riferisce a interi appartamenti, 1.380 dei quali (il 58,1 per cento) sono aperti per più di sei mesi l'anno. Ci sono anche annunci pubblicati da soggetti che gestiscono più di un appartamento: sono ben 1.432, pari al 60,2 per cento. La città di Bergamo ne conta 809 (34 per cento), ma significativo è il numero di offerte sul lago d'Iseo, con 69 annunci a Lovere, 79 a Riva di Solto, 44 a Parzanica, 44 a Predore e 38 a Solto Collina.

«Non abbiamo nulla contro l'accoglienza dei turisti nelle case date in affitto, anzi siamo molto favorevoli - ha commentato Oscar Fusini, direttore Ascom Confcommercio Bergamo -. Sosteniamo però la necessità del rigoroso rispetto delle norme. Nello stesso mercato devono valere le stesse regole. In primo luogo occorre che gli operatori che fanno da intermediari digitali rispettino la legge italiana nella comunicazione dei dati sia di chi affitta, sia di chi alloggia e versino la ritenuta fiscale stabilita dallo Stato italiano, come per qualsiasi altro operatore economico».

«Inoltre - ha aggiunto Fusini - da tempo chiediamo che il fenomeno sia regolamentato da una legge unica europea per contrastare alcuni fenomeni sociali ormai evidenti che colpiscono le nostre comunità, come lo spopolamento dei residenti nei centri storici, l'impossibilità di trovare case in affitto e la mala movida legata allo sviluppo selvaggio del turismo».

Le bugie della sharing economy riguardano anche noi

L'analisi dei dati, spiega Federalberghi, svela i quattro grandi falsi miti della cosiddetta sharing economy. La prima riguarda l'esperienza offerta da Airbnb, snaturata dall'intento originario: non si condivide (quasi) più l'esperienza con il titolare che offre l'alloggio, ma la gran parte degli annunci si riferisce all'affitto di interi appartamenti in cui non abita nessuno. Non è vero, inoltre, che si tratta di attività occasionali, dal momento che la maggior parte degli annunci (il 58,1 per cento a Bergamo) si riferisce ad appartamenti disponibili per oltre sei mesi all'anno.

E non è sempre vero che si tratta di forme integrative del reddito, ma di attività economiche a tutti gli effetti, con moltissimi inserzionisti (a Bergamo sono il 60,2 per cento) che gestiscono più di un alloggio. Esistono perfino casi limite, come sottolinea Federalberghi, di soggetti che ne gestiscono più di seimila. E infine, non è vero che le nuove formule compensano la mancanza di offerta, perché gli alloggi di Airbnb (che ad agosto 2022 risultavano 440.305 in tutta Italia) sono concentrati soprattutto nelle grandi città e nelle principali località turistiche.

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