«Assistenza domiciliare: più quantità che qualità, dimenticato il rapporto umano»
Parla la dipendente di una cooperativa: «I minuti contati per ogni utente, il trasporto e le altre criticità rischiano di distogliere dal bisogno di vicinanza dei più fragili»
Il sistema dell’assistenza domiciliare, così com’è strutturato, non ha più molto di umano. È quello che sostiene una nostra lettrice, che lavora proprio nel settore.
«Mi chiamo Antonella, ho 58 anni e faccio l’assistente domiciliare da 25 anni. Quello appena trascorso è il quarto appalto che si rinnova. Con tutte le difficoltà che comporta, svolgo questo lavoro per la grande passione e l’ottimo feedback che ho dagli utenti. Mi sto accorgendo, purtroppo, che ormai i committenti (Comune di Bergamo e quindi cooperativa sociale) hanno più interessi organizzativi e pratici che di servizio, non tengono conto che l’utenza è una persona in carne e ossa, con la quale serve impostare un dialogo e un rapporto umano».
In seguito, la signora entra più nello specifico, spiegando che per ogni utente verrebbe quantificato il tempo dedicato, tenendo anche conto di questioni come il trasporto e gli spostamenti. Il tutto, si immagina, per poter organizzare un servizio il più efficiente possibile, con il rischio però, a parere della nostra lettrice, che venga meno quel fattore propriamente “umano”, cioè il bisogno di vicinanza e comprensione che a volte gli anziani, così come le persone fragili, mostrano di avere a chi si trova lì per prendersi cura di loro.
«L’utente chiede un assistente domiciliare con cui instaurare una relazione di fiducia, non chiede macchine o robot. Purtroppo, stanno prendendo troppa importanza fattori come i minuti contati per ogni utente, il trasporto e altre mille piccole criticità, che mi stanno facendo aprire gli occhi su quanto ormai questo tipo di servizio sia più quantitativo che qualitativo. Con tutto quello che purtroppo ne consegue».