La replica dei medici di base allo "scivolone" della Moratti: «Passi mezza giornata in studio con noi»
La vicepresidente regionale aveva definito la carenza dei camici bianchi sul territorio una problematica «apparente»
«Regione Lombardia continua a non comprendere cosa sta avvenendo nella medicina di famiglia. L’ultima esternazione, in ordine di tempo, dell’assessore al Welfare, Letizia Moratti, è l’ennesima triste conferma».
La denuncia arriva dalla Fimmg Lombardia, in risposta a quanto dichiarato ieri (25 febbraio) dalla vicepresidente regionale in visita a Bergamo per l’inaugurazione della Casa di comunità in via Borgo Palazzo. Nell’occasione Letizia Moratti, rispondendo a una sollecitazione riguardante la carenza dei camici bianchi sul territorio, ha definito la problematica «apparente», di natura puramente organizzativa e risolvibile se i medici lavorassero a sufficienza. «Con una migliore organizzazione e razionalizzazione degli orari di lavoro dei medici – ha detto Moratti -, potremmo offrire risposte immediate e concrete ai bisogni di salute dei cittadini».
«Non possiamo che rinnovare l’invito all’assessore Moratti a passare mezza giornata nella sala d’attesa di uno dei nostri studi – replica la dottoressa Paola Pedrini, segretario generale Fimmg Lombardia -. Imparerebbe molto, anche in ambito di empatia e di conoscenza dei nostri pazienti. Speriamo, davvero, che il nostro invito venga accolto e, per il momento, continuiamo, nonostante tutto e con ostinazione, a lavorare per un rapporto costruttivo con l’assessorato».
Le affermazioni della vicepresidente lombarda hanno suscitato sconcerto e amarezza tra i medici e «si collocano al di fuori dalla realtà – si legge nella nota della Fimmg – e dimostrano una preoccupante assenza di consapevolezza della drammatica situazione in cui versa la medicina di famiglia. Preoccupante soprattutto perché espressa da chi ha la massima responsabilità programmatoria».
La fuga dei medici di base dagli ambulatori era stata sottolineata, in tutta la sua gravità, mercoledì scorso (23 febbraio) durante l’audizione dei camici bianchi in Commissione sanità del Consiglio regionale della Lombardia: gli ultimi dati dicono che su 36 nuovi inserimenti in provincia di Bergamo, ben 24 medici hanno deciso di lasciare il proprio posto entro la fine del mese perché ritengono il mestiere troppo «brutto». Agli abbandoni professionali si aggiungono poi i pensionamenti precoci, gli episodi di “burn out” e la corsa dei giovani verso altre specializzazioni, facendo sì che una sempre più ampia platea di assistiti resti priva del proprio medico.
«Affermazioni di questo tipo allontanano innanzitutto il dialogo – conclude Paola Pedrini - aumentano l’incertezza di un’area professionale che si sente sempre più incompresa e sottovalutata, e non possono che accentuare gli abbandoni. I movimenti spontanei di protesta di queste settimane, profondamente motivati, ne sono la logica conseguenza. Con il rischio di allontanarsi da un’interposizione propositiva e di essere spinti, magari strumentalmente, alla protesta spesso fine a sé stessa, sfogo di una profonda frustrazione».