Col padre malato al Pronto soccorso di Treviglio: «Più di 8 ore d'attesa, poi ci han detto di portarlo a casa a morire»
Una signora di Romano ha raccontato a PrimaTreviglio l'Odissea vissuta insieme al padre, invalido e malato oncologico. «Pronti a rivalerci»
Una signora ha raccontato l'Odissea vissuta insieme al padre, residente a Romano, invalido e malato oncologico, al Pronto soccorso di Treviglio dopo che lo scorso lunedì 1 gennaio aveva accusato un malessere. A riportare la vicenda sono i colleghi di PrimaTreviglio.
Oltre otto ore d'attesa
«Erano da poco passate le 17, quando mio papà ci ha detto che stava male - ha detto la donna -. Un malessere che è peggiorato sempre di più, spingendomi a chiamare il 118 per avere soccorso. Dopo la chiamata, abbiamo aspettato per una buona mezz’ora l’ambulanza. Un fatto che di per sé non sembrerebbe grave ma, se si considera che mio papà è competente invalido e malato oncologico, allora la valutazione cambia».
Una volta arrivati, i soccorritori hanno prestato le prime cure e hanno deciso di trasportare il paziente a Treviglio, per gli accertamenti del caso. Tutto normale fino a questo punto, ma una volta arrivati la situazione è degenerata.
«Siamo arrivati al Pronto soccorso con l’ambulanza e a mio padre è stato dato un codice arancione, quindi grave - ha proseguito la donna -. Mio padre è stato messo in una corsia dopo il triage senza cure. Ci aspettavamo un'assistenza, non dico immediata, ma in ogni caso in tempi brevi. Invece, dopo oltre otto ore nessuno si era fatto vivo. Dopo così tanto tempo siamo andati in escandescenza: abbiamo protestato ad alta voce, chiedendo soccorso per mio padre che, oltre a non essere assistito, non ha potuto nemmeno ricevere la sua terapia quotidiana. Dopo le nostre lamentele, allora, un medico si è deciso a visitarlo e lo ha ricoverato, o meglio ha deciso di tenerlo lì in osservazione».
In causa con l'ospedale
Una decisione che ha allarmato la famiglia. Già un anno fa, infatti, il romanese era stato tenuto in osservazione in Pronto soccorso, per poi uscire con una diagnosi di paziente terminale.
«Siamo già in causa con l’ospedale per quanto avvenuto l’anno scorso - ha aggiunto la figlia –. La diagnosi fatta è stata poi ritrattata con tanto di scuse. E ora stiamo rivivendo la stessa situazione. Dopo qualche giorno in Pronto soccorso, infatti, il medico ci ha detto sostanzialmente di optare o per un hospice oppure portarlo a casa a morire». La famiglia del paziente ha deciso di riportare a casa il proprio caro, pronta però a rivalersi sull’ospedale come aveva fatto un anno fa.
«Di sicuro provvederemo ad altri controlli, perché quanto successo è vergognoso - ha concluso la figlia -. La sensazione, come l’anno scorso, è quella che mio padre sia stato assistito con superficialità e non è accettabile. Siamo in Lombardia, il servizio sanitario dovrebbe essere efficiente e invece ci ritroviamo ad essere condannati senza via di scampo».
Con tutto il rispetto per l’accaduto, Assemberg è stato un disastro totale. Queste sono le macerie della sua gestione.