Lo studio del Papa Giovanni XXIII

Covid, alcuni farmaci contro l’ipertensione riducono la mortalità nei pazienti più anziani

Analizzate le cartelle cliniche di 688 pazienti ricoverati tra febbraio e aprile del 2020. Nei pazienti anziani in cura con i sartanici la mortalità si è ridotta del 51 per cento, in quelli curati con ACE-inibitori del 43 per cento

Covid, alcuni farmaci contro l’ipertensione riducono la mortalità nei pazienti più anziani
Pubblicato:

Gli inibitori del sistema renina-angiotensina, tra i farmaci utilizzati per tenere sotto controllo l’ipertensione arteriosa, contribuirebbero a una forte riduzione della mortalità nei pazienti più anziani che vengono colpiti da forme severe del Covid.

È quanto ha scoperto un gruppo di ricercatori italiani, analizzando i dati delle cartelle cliniche di 688 pazienti ipertesi di tutte le età ricoverati tra il 23 febbraio e il 7 aprile del 2020 all’ospedale Papa Giovanni XXIII per l’infezione da Sars-CoV-2. Gli scienziati hanno osservato che nel sottogruppo di persone con più di 68 anni, i pazienti ipertesi in cura con una terapia farmacologica a base di inibitori del sistema renina-angiotensina (ACE-inibitori o sartanici) al momento del ricovero per Covid sono deceduti in misura molto minore, in ospedale o nei 30 giorni successivi alle dimissioni, rispetto ai pazienti della stessa classe di età che non ne facevano uso. In particolare, nei pazienti anziani in cura con i sartanici la mortalità si è ridotta del 51 per cento. Anche gli ACE-inibitori hanno dimostrato una efficacia protettiva comunque elevata, pari al 43 per cento di mortalità in meno nello stesso sottogruppo analizzato.

I risultati dello studio italiano, pubblicato a dicembre sulla rivista Journal of Hypertension, confermano quindi le indicazioni contenute nelle linee guida internazionali che raccomandano di non sospendere l’uso di ACE-inibitori e sartanici per timore di un loro effetto negativo in caso di infezione da coronavirus.

I risultati di questo filone di studi hanno enormi implicazioni sulle indicazioni terapeutiche che i cardiologi rilasciano a diversi milioni di pazienti ipertesi in cura. Basti pensare che le stime dell’Istituto superiore di sanità calcolano che l’ipertensione arteriosa colpisca in Italia circa il 33 per cento degli uomini e il 31 per cento delle donne, mentre un ulteriore 19 per cento di uomini e 14 per cento di donne sono considerati a rischio. Ecco perché assume una particolare rilevanza per gli specialisti questo recente studio condotto dalla cardiologia dell’ospedale Papa Giovanni XXIII, in collaborazione con la From – Fondazione per la ricerca dell’ospedale di Bergamo e con Gianfranco Parati, professore di Medicina cardiovascolare dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca e direttore scientifico dell'Irccs Istituto Auxologico Italiano.

«Siamo convinti di aver costruito un modello statistico solido e rigoroso, mettendo in atto praticamente tutti i correttivi che riducono il rischio di inficiare i risultati di simili studi –rimarca Mauro Gori, della Cardiologia del Papa Giovanni XXIII e primo autore della ricerca -. Siamo riusciti a dimostrare in maniera chiara l’esistenza di un effetto protettivo nei pazienti ipertesi delle terapie a base di ACE-inibitori o sartani contro la mortalità da coronavirus. Questo lavoro dimostra inoltre una fortissima interazione tra l’effetto protettivo di questi farmaci e l’età. Nei soggetti ipertesi con meno di 68 anni di età i nostri dati dimostrano come non ci sia alcuna correlazione tra mortalità da Covid e l’assunzione o meno di questa tipologia di farmaci».

Alcuni studi epidemiologici avevano già confutato le ipotesi, circolate anche nella comunità scientifica nelle fasi iniziali della pandemia, su un possibile rischio aumentato in caso di infezione da coronavirus per i pazienti in terapia con i farmaci inibitori del sistema renina-angiotensina. Tesi che avevano allarmato un’enorme platea di pazienti con problemi cardiovascolari.

«Finora i risultati hanno offerto conclusioni e interpretazioni non omogenee. Queste classi di farmaci avevano dimostrato un effetto neutro oppure poco correlato al decorso clinico nei pazienti affetti da forme gravi di Covid – spiega Antonello Gavazzi, cardiologo coordinatore della ricerca clinica in From e primario emerito dell’ospedale Papa Giovanni XXIII -. Questo ultimo studio segna un punto fermo a favore delle terapie con ACE-inibitori o sartanici, mettendo al centro delle future indagini il parametro dell’età. La Fondazione ha messo a disposizione di questo studio le competenze del suo laboratorio di biostatistica, con Arianna Ghirardi che ha condotto l'inserimento dei dati clinici in una scheda elettronica appositamente costruita e la valutazione statistica con elaborazione di modelli avanzati di stratificazione prognostica».

I meccanismi di azione dei farmaci anti ipertensione sul sistema cardiovascolare dovranno essere oggetto di ulteriori studi clinici. Lo studio offre un ulteriore elemento di concretezza alle linee guida già diffuse dalle società scientifiche europee e americane che danno indicazione agli specialisti cardiologi di tutto il mondo perché i loro pazienti non sospendano la terapia con questi farmaci.

«Non è opportuno che pazienti con problematiche cardiovascolari o ipertensione sospendano il trattamento farmacologico per timore del virus – conclude Michele Senni, professore di Malattie dell’apparato cardiovascolare all’Università di Milano-Bicocca e direttore del Dipartimento Cardiovascolare del Papa Giovanni XXIII e autore senior dello studio -. Una soppressione della terapia per l’ipertensione per motivi non fondati può comportare un danno. Questo vale per gli ACE-inibitori e per i sartanici in caso di ipertensione. Nei pazienti con scompenso cardiaco le linee guida internazionali raccomandano di non sospendere, né tantomeno interrompere l’assunzione di ARNI».

«Il contributo dei nostri professionisti al dibattito scientifico internazionale sul Covid fa parte del nostro impegno più generale nella lotta al virus – conclude il direttore sanitario Fabio Pezzoli -, che portiamo avanti collaborando alle azioni di prevenzione con le vaccinazioni, alla diagnosi, con l’effettuazione e il sequenziamento dei tamponi e soprattutto a livello clinico, con la cura dei pazienti che hanno sviluppato la malattia in forma grave».

Seguici sui nostri canali