Dopo il Covid il 20% dei medici lombardi è in burnout, il 30% soffre di ansia e depressione
I risultati emergono dalle risposte date da 958 medici lombardi a un’indagine elaborata dall’Università Bicocca per conto di Anaao-Assomed

Quasi il 20% dei medici lombardi accusa sintomi riconducibili al burnout, mentre più del 30% ansia e depressione di significato clinico. Sono dei risultati che emergono dalle risposte date da 958 medici a un’indagine elaborata dall’Università degli Studi di Milano Bicocca per conto di Anaao-Assomed Lombardia.
La ricerca, eseguita tra novembre 2021 e marzo 2022, si proponeva di stimare la prevalenza, nei medici lombardi, di sintomi riconducibili al burnout, di indagarne le possibili connessioni con variabili demografiche e occupazionali e di valutare l’impatto della pandemia sulla sintomatologia presente nei medici, nell’ottica del rafforzamento di strategie per tutelare la salute psicofisica del personale medico.
I risultati dell'analisi
L’indagine, svolta tramite un questionario online, mostra come il 71,6% dei medici intervistati sospetti di aver sofferto di burnout, mentre il 59,5% teme di poterne soffrire in futuro. Il rilievo psicometrico illustra inoltre come la prevalenza di una sintomatologia di rilievo clinico riconducibile al burnout sia pari a 18,5%, mentre quella riconducibile a disturbi dello spettro ansioso e depressivo è pari al 31,9% e al 38,7%.
«Sono dati allarmanti – sottolinea Stefano Magnone, segretario regionale di Anaao-Assomed Lombardia -. Le problematiche causate dall’espansione a macchia d’olio di questo fenomeno sono state largamente discusse negli ultimi tempi, aumentando l’awareness anche tra chi non è direttamente coinvolto nell’ambito sanitario. Lo stress lavorativo cronico, o sindrome del burnout, insorge quando le richieste del lavoro superano le capacità del lavoratore di affrontarle, intaccando la salute psicofisica dell’individuo. A peggiorare le condizioni lavorative, oltre alla carenza di risorse e ai ritmi lavorativi isterici in cui siamo costretti, è stata la pandemia: l’87.4% dei medici lombardi dichiara come la pandemia abbia avuto effetti di media o grave entità sul proprio benessere lavorativo».
A soffrire maggiormente della condizione di burnout sono le donne e a ciò si aggiungono ansia, depressione e a una percezione bassa di autoefficacia (quest’ultimo elemento è condiviso con gli specializzandi). Una maggiore anzianità di servizio risulta essere un fattore protettivo, a cui vengono associati livelli più bassi di burnout, ansia e depressione.
«Lo studio fornisce informazioni utili alla pianificazione d’interventi preventivi e gestionali finalizzati alla tutela della salute psicologica dei medici – spiega Edoardo Nicolò Aiello, psicologo e dottorando in Neuroscienze all’Università di Milano Bicocca -. Emerge una forte corrispondenza tra ciò che rilevano gli strumenti psicometrici oggettivi e il vissuto soggettivo dei medici che hanno preso parte alla ricerca».
Non da ultimo, l’87,4% dei medici lombardi dichiara come la pandemia e l’avvento della quarta ondata abbia avuto effetti di media o grave entità sul proprio benessere lavorativo, nonostante il servizio in area Covid non sia un fattore di per sé associabile a maggiori livelli di burnout, ansia o depressione. Ad impattare maggiormente sono invece le variabili soggettive percepite, quali la vicinanza di cari o colleghi che hanno avuto gravi complicazioni legate all’infezione.
«I risultati dello studio indicano la necessità di pensare, strutturare e promuovere programmi di valutazione accurata del disagio lavorativo per tutti gli operatori e, in particolare, per le donne e per le persone con minore anzianità di servizio – conclude Ines Giorgi, psicologa e psicoterapeuta -. Il progetto rappresenta una sfida importante alla quale non è possibile sottrarsi se si intende contenere il burnout con tutti i suoi correlati di perdita di salute, professionalità, efficacia lavorativa e soddisfazione dei pazienti. Bisognerebbe affrontare la cultura del prendersi cura di sé come operatori sanitari già durante il percorso di studi e metter a disposizione nelle aziende sanitarie specifici setting di supporto. Parallelamente, studi mirati a comprendere come attivare le risorse di resilienza, insieme alla verifica degli esiti di eventuali interventi, rappresenterebbero una buona sinergia fra organizzazioni sanitarie e Università».