Giornata in memoria delle vittime Covid, ma Bergamo se la ricorda davvero la tragedia?
La città ha avuto fretta di voltare pagina e l’anno da Capitale ha favorito la dimenticanza. Eppure in quei giorni sognavamo una vita diversa
Il Covid è stato l’11 settembre di Bergamo e della Bergamasca. Un momento tragico che dovrebbe avere segnato in profondità la nostra vita sociale. Seimila morti, di cui più di 500 nella città.
In quei momenti, accanto alla paura, pensavamo che quella prova ci avrebbe in qualche modo rigenerati, resi migliori. Ci dicevamo che la vita andava presa diversamente, con più calma, con più generosità. Guardavamo spaventati e meravigliati dai balconi la città silenziosa e la natura che si riprendeva i suoi spazi.
La primavera del 2020 fu qualcosa di incredibile. Il frastuono era finito, l’aria era pulita. Ritenevamo che, superata l’emergenza sanitaria, quella potesse essere una nuova frontiera del vivere, fondata anche su quel senso di solidarietà che avvertivamo. A volte anche solo salutandoci fra sconosciuti da un terrazzo all’altro.
Non è stato così. Ci ritroviamo oggi con un’ansia esasperata di lavoro, di spostamenti, di viaggi: la frenesia del divertimento, del guadagno e la competizione sono diventate ancora più forti.
Insomma, il Covid non ci ha resi migliori. Sembrano, questi atteggiamenti, voler cancellare o comunque ridimensionare quella terribile esperienza, come chi soffre un grande dolore e per dimenticarlo si frastorna.
L’anno di Bergamo Capitale della Cultura non ci ha aiutati nella riflessione, ma è stato pure un momento di euforia, una sorta di sbornia. Le chiese vuote sono ancora più vuote, l’attenzione agli altri che avevamo sperimentato è in buona parte scomparsa. E non viviamo meglio di prima, siamo tutti più affannati, arrabbiati.
L’impressione è che questa rimozione abbia riguardato di più la città che i paesi. Lo dimostra il fatto che, anche quest’anno, Bergamo celebra il 18 marzo, giorno della memoria delle vittime del Covid, con una cerimonia istituzionale esclusivamente su invito. La commemorazione (...)
Non ci dimentichiamo! Ci vorrebbe una nuova Norimberga per medici politici e giornalisti! Non vi preoccupate che non dimentichiamo.
La chiave di lettura sta tutta nelle prima frase: Il Covid è stato l’11 settembre di Bergamo e della Bergamasca. Buona riflessione a tutti...
Sono infermiera,ho vissuto il COVID professionalmente e personalmente mi sono ammalata di COVID stando in corsia giorno e notte con turni massacranti senza poter vedere la mia famiglia per mesi ...vi posso assicurare che tutti si sono dimenticati di quello che è successo.noi che eravamo i vostri eroi(così ci chiamavate)con quell'immagine persistente dell'infermiere che abbraccia l'Italia,siamo ritornati ad essere infermieri insultati e picchiati dai pazienti e parenti che per un nonnulla si rivolgono a noi talmente maleficamente da farti passare la voglia di andare a lavoro...no,il COVID non ha insegnato niente a nessuno ve lo posso assicurare,siamo solo diventati più egoisti e arrabbiati di prima....
Eravamo tutti sulla stessa barca? Come quel tale che è venuto a fare l'aperitivo sui Navigli per dirci di non stare a casa, ha preso il COVID è tornato a Roma e si è fatto curare in una clinica privata di lusso dopo che il suo partito per anni demonizza la sanità privata e dice che la sanità deve essere solo pubblica? Eravamo tutti sulla stessa barca? Come quell'altra tale che ha comperato migliaia di introvabili mascherine le ha portare giù aroma per farsi la scorza lui e quelli del palazzo politico e le ha comprate da una ditta bergamasca? Era il marzo 2020 si è fatto la scorta per lui portandole via dal luogo dove più servivano, dove i nostri morivano come mosche. Tutti sulla stessa barca un cavolo! Chi comanda non è lì solo a mettere il sedere sulla poltrona e a prendere l'auto stipendi. Deve assumersi le sue responsabilità. Io non dimentico.
Roberto ci regala il solito commento buonista, libero per me, libero per tutti, raccontando mezza verità. Primo mi addossa colpe che non ho, quasi caluniandomi, visto che non avevo e non ho alcun ruolo decisionale. È bene ricordare che la responsabilità è un fatto PERSONALE, le assoluzioni collettive e le amnistie sono tipiche dell'italianità peggiore, così come dire che la colpa è di tutti. No, io in questo caso di colpe non ne ho! Secondo Roberto ci racconta metà della storia, con la scusa dell'evento sconosciuto, i prevedibile. Però quando il virus è arrivato da noi erano due mesi che vedevamo scene apocalittiche in Cina tipo città con 10 milioni di abitanti isolata dall'esercito, ospedali da campo da miglia di posti allestiti in fretta e furia, gente che moriva come mosche. Non ci voleva un genio a capire che se arrivava da noi avremmo visto le stesse scene apocalittiche. La prima zona rossa da noi è di febbraio e chi il 5 di marzo diceva che non c'era motivo per stare a casa dopo il disastro che abbiamo avuto poi doveva assumersi le sue responsabilità, chiedere scusa e dimettersi. Invece è ancora lì. E magari doveva anche essere indagato.