I ragazzi e le ragazze tornati in discoteca dopo due anni: «È stata una liberazione»
Lo scorso fine settimana i locali hanno potuto finalmente riaccogliere il loro pubblico. Siamo andati a sentire le voci dei più giovani
di Matteo Rizzi
Oronero, Setai, Costez, Bolgia, Bobadilla, Capogiro: non sembra ancora vero, ma hanno riaperto. «In ritardo rispetto all’estero», sottolinea Anna, studentessa di 23 anni che ha partecipato alla riapertura dell’Oronero: «La cosa che mi ha dato più fastidio di questi due anni è che i giovani sono stati lasciati indietro, quando non colpevolizzati. Venerdì (11 febbraio, ndr) è stata una liberazione anche per questo. Andare a ballare, almeno per me, è innanzitutto un modo per scaricare le tensioni accumulate, è qualcosa di molto di più del divertimento, ha un lato quasi terapeutico. Avevo davvero paura non succedesse più».
La riapertura delle discoteche è stata descritta come «timida» da Lorenzo Tiezzi, blogger, pr e ufficio stampa del Nikita Costez. «Mi ricordo come erano le discoteche prima del 2020 - conferma Paola, 22 anni, anche lei a Oronero il giorno della riapertura - e credo ci vorrà del tempo a ristabilire quel clima. Siamo tutti fuori allenamento, io ero un po’ spaesata. Però è stato liberatorio, mi era mancato tantissimo, per quanto mi riguarda era forse l’ultimo step da ripristinare per poter dire di essermi riappropriata di quella che era la mia quotidianità prima del Covid, e quindi è stato emozionante. Sono stati due anni difficili per tutti e per molti di noi la discoteca è una valvola di sfogo importante, sono quattro o cinque ore in cui veramente puoi concederti di staccare la testa dai pensieri e dalle ansie. Mi mancava tantissimo prendermi quella mezz’oretta in cui chiudere gli occhi e lasciarmi trasportare dalla musica per conto mio. So che spesso quando si parla di discoteca si descrivono gli aspetti più negativi, si parla degli eccessi e dei pericoli, però per la maggior parte di noi andarci significa rimettersi in equilibrio, bilanciare».
«In questi due anni - racconta invece Silvia, 23 anni -, forse per sopperire all’assenza delle discoteche, ho letto diversi libri sulla cultura techno, per capire come mai mi mancasse così tanto e così profondamente una cosa che prima ritenevo una fonte di divertimento e intrattenimento come un’altra, e ho scoperto tantissime cose. Ad esempio che a Berlino esistono delle forme di terapia di gruppo fondate sulla musica techno, e che molte delle caratteristiche di questo genere musicale, dalla ripetitività ipnotica ai suoni acidi, sono pensate con l’intenzione di creare un mezzo di connessione con la propria mente e il proprio corpo. Prima dicevo ironicamente che la discoteca fosse un po’ il mio tempio, per descrivere come mi ci sentivo, perché mi sembrava di prendere parte a una specie di rituale. E ho scoperto che forse questa espressione non è poi tanto metaforica. In ogni caso, grazie a queste nuove consapevolezze, ho vissuto un’esperienza diversa, nuova. A mia madre ho provato a spiegare che probabilmente è una sensazione molto simile a quella che ha provato lei un anno e mezzo fa quando ha potuto tornare in Chiesa. Diciamo che non ha apprezzato il paragone...».