La svolta

La Cascina Ponchia ha finalmente un futuro: sarà la casa per persone autistiche

Dodici posti e una residenza stabile: la struttura di Monterosso diventerà uno dei primi esempi in Italia per persone affette dal disturbo

La Cascina Ponchia ha finalmente un futuro: sarà la casa per persone autistiche
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di Ettore Ongis

La Cascina Ponchia al Monterosso diventerà una residenza per persone autistiche adulte. Martedì 7 marzo, l’associazione Spazio Autismo e la Cooperativa Serena hanno cominciato il lavoro di progettazione con il Comune.

Se tutto dovesse procedere secondo i piani, la Ponchia dovrebbe arrivare a ospitare in futuro dieci-dodici adulti. Spazio Autismo e cooperativa Serena sono due realtà che da decenni si occupano di persone affette da questo disturbo. Insieme nei mesi scorsi hanno presentato una proposta che potrebbe fare della nostra città la punta di diamante del “Dopo di noi”. Unico altro esempio in Italia è Cascina Rossago, sull’Appennino Ligure, dove sono inseriti una ventina di adulti.

A tirare le fila di questa “impresa impossibile” ci sono in particolare due persone: Tino Manzoni e l’ex assessore Maria Carla Marchesi. Dice Manzoni: «So che vado a rovinarmi la vita assumendomi una responsabilità del genere. Ma per me e per Maria Carla prenderci cura di queste persone e aiutare le loro famiglie è diventata una missione, stiamo dedicando la vita a questa battaglia e poiché crediamo fermamente in questo progetto, vogliamo andare avanti».

Manzoni, da dove nasce l’idea di una Casa per gli autistici?

«Ci siamo accorti che man mano che i nostri ragazzi crescevano si aggiungevano nuovi bisogni. E allora abbiamo immaginato che la nostra associazione, in qualche modo, potesse dare una risposta alle necessità delle persone con autismo, da zero a mille anni. Dobbiamo fare il possibile per portare avanti la nostra visione».

Quale visione?

«Oggi si parla tanto di autismo, ma non ci sono ancora la giusta sensibilità e il giusto approccio, non è ancora chiaro che cosa voglia dire avere una persona autistica in casa. Anzitutto noi pensiamo che ci possa essere un’attenzione diversa nella società. Noi abbiamo un appartamento in cui facciamo la sperimentazione del distacco di questi ex ragazzi, ma perché la cosa funzioni ci deve essere una comunità che ti aiuta. Il mondo del volontariato può mettere a disposizione persone che in una struttura potrebbero dare una mano a renderla una comunità».

Ma non costerebbe troppo?

«Quando in una casa c’è una persona autistica vuol dire che c’è una “famiglia autistica”, e questo ha una ricaduta su tutta la società. Non è solo il figlio che sta male, stanno male il papà, la mamma, i fratelli e tutto si scarica addosso ai servizi sociali e agli enti. Non rendersi conto di questo comporta un costo maggiore. Se invece si riuscissero a creare le giuste alleanze, se ci fosse una rete, avremmo una comunità coesa e si spenderebbe meno. Questo è l’aspetto che nessuno ha ancora inquadrato».

Alla Ponchia si creerebbero dodici posti, quanti ne servirebbero in Bergamasca?

«Per rispondere alle necessità attuali ci vorrebbero venti-trenta Cascine Ponchia, ma non basterebbero neanche quelle» (...)

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