Associazione Zlaghoda

L'appello delle ucraine: «Bergamaschi, aiutateci a portare via altri bambini dalla guerra»

«Ne abbiamo già accolti 126, ma sono centinaia quelli che attendono al confine: bisogna fare presto». L'accoglienza commovente a Palosco e a Pontida

L'appello delle ucraine: «Bergamaschi, aiutateci a portare via altri bambini dalla guerra»
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di Paolo Aresi

Ne hanno portati a Bergamo centoventisei, ma alla frontiera tra Polonia e Ucraina ci sono altre centinaia di bambini che aspettano. Molti sono orfani, fuggiti con le educatrici dagli istituti, altri hanno il papà in guerra e la mamma che non ha potuto fuggire e allora li ha affidati ai convogli di bambini in fuga. «Molti di loro non hanno documenti, hanno soltanto il numero di telefono sul braccio, scritto dalla madre mentre stavano partendo». Lo spiega Hanna Tseber, cittadina ucraina, imprenditrice, che dal 2004 vive in provincia di Bergamo. Hanna è tra i fondatori dell’associazione cultuale Zlaghoda, nata nel 2014 con lo scopo di mantenere viva la cultura ucraina fra gli immigrati. Ma da un mese è tutto cambiato e Zlaghoda è impegnata in qualche cosa che non avrebbe mai immaginato.

Avete portato a Bergamo centoventi bambini pochi giorni fa.

«Ma ce ne sono tanti altri che aspettano, dobbiamo cercare di portarli via, di dare loro un luogo sicuro, un luogo confortevole dove possano tornare a vivere con tranquillità, a giocare, a studiare. Non so dire quanti siano alla frontiera fra Ucraina e Polonia, ma sono tanti, tanti. Stiamo cercando di organizzare altra accoglienza e non è facile».

Che cosa serve?

«Noi siamo un’associazione culturale, ci siamo presi la responsabilità di portare i primi centoventisei, la prefettura ci ha detto dove portarli, è andata bene, ma non possiamo più prenderci la responsabilità dell’accoglienza, ci sono dei problemi di ordine giuridico. È necessario che enti o cooperative di un certo tipo si prendano la responsabilità dell’accoglienza. Non è un problema di soldi o di trasporti, la generosità dei bergamaschi è incredibile, abbiamo già visto con gli aiuti umanitari, con il primo gruppo di bambini».

Che cosa avete visto?

«Abbiamo visto che gli autisti di una ditta di Palosco sono andati a prenderli con un pullman grande e tre pulmini, li hanno portati a Palosco, due giorni interi di viaggio. Alla fine non hanno voluto nemmeno un euro, niente. E, a Palosco, il paese aveva preparato tutto, tutti i bambini hanno fatto la doccia, tutti hanno avuto dei vestiti nuovi e dei giocattoli e poi si è fatto un grande pranzo, tutti insieme nella palestra. Le mamme avevano preparato le crostate... Non c’era un giornalista, non c’era una televisione. Non hanno voluto pubblicità, non volevano neppure che li ringraziassimo. Sono rimasta tanto colpita da loro».

Poi i bambini li avete portati a Bedulita, Rota Imagna e Pontida.

«Sì, per ora le sistemazioni sono queste. A Pontida i frati sono stati commoventi, i bambini si trovano in un luogo bellissimo, ben organizzato. Ci sono anche otto educatrici che con loro sono arrivate dall’Ucraina e ora sono divise fra i tre gruppi».

Come stanno i bambini?

«Stanno bene. Hanno tanto bisogno di affetto, basta passare un poco di tempo con loro e subito ti chiamano papà o mamma. Si affezionano, ti prendono le mani, ti abbracciano. Per questa ragione evitiamo l’affidamento alle famiglie, per evitare traumi da distacco. Dovranno venire ospitati in gruppi, in strutture di una certa dimensione. Quando la guerra finirà torneranno in Ucraina, perlomeno molti di loro».

L’associazione Zlaghoda di Bergamo sta facendo tantissimo. In quanti siete?

«Siamo sessanta iscritti, ci siamo mobilitati tutti, abbiamo un capannone a Curno dove raccogliamo il materiale da spedire in Ucraina».

Lei ha parenti in Ucraina?

«Mia madre vive là e anche mio fratello e tanti altri parenti. Mio fratello è vigile del fuoco, non si muoverà da là, dal 24 febbraio è in servizio pressoché continuato. Mia madre invece arriverà con mia cognata e con i miei due nipotini, li aspetto settimana prossima. Ho una zia che vive a Kahovka, una città che è stata rasa al suolo, lei e la sua famiglia si sono rifugiati nella cantina, sono sopravvissuti una settimana mangiando marmellate e bevendo acqua, senza uscire mai. Siamo riusciti a sentirla alcuni giorni dopo l’inizio dei bombardamenti quando pensavamo che fosse morta. È terribile la situazione. Loro stanno ancora nella cantina, avevano delle provviste in casa, sono riusciti a portarle giù, soprattutto hanno le conserve che mia zia aveva preparato l’estate scorsa».

Vi aspettavate l’invasione russa?

«No, non ce l’aspettavamo anche se era chiaro che c’era una pressione forte, uno spiegamento di militari senza precedenti ai confini. Ma io ho parenti anche in Russia, non c’è un ucraino che non abbia parenti in Russia e viceversa, siamo due popoli intrecciati. Non odio i russi, no. Nella via dove abito, ad Almenno, c’è una signora russa che fa la badante, ci vediamo tutte le mattine e diciamo che dobbiamo aiutarci, che dobbiamo pregare per la pace. Ai suoi parenti in Russia spiega come le cose stanno davvero. Se vivi in Russia non puoi capire quello che succede, la televisione e i giornali presentano un’altra realtà».

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