La guerra in casa

Le due badanti, una russa e l’altra ucraina, che si volevano bene: ora Svetlana non parla più

Le due si prendono cura di una 84enne di Curno. Le opposte versioni che arrivano dal fronte hanno scavato un solco di diffidenza

Le due badanti, una russa e l’altra ucraina, che si volevano bene: ora Svetlana non parla più
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di Maria Teresa Birolini

Alina e Svetlana non sono solo amiche, sono anche colleghe. Insieme si prendono cura di una donna, anzi di una nonna, di 84 anni, che vive da sola in un appartamento di Curno. Da ormai cinque anni, pensano a tutto loro: non sono “le badanti”, sono due di famiglia. Alina di solito prepara la colazione, beve il caffè in cucina con Svetlana che le dà il cambio, parlano dei figli che sono stati fortunati a crescere qui, in Italia, loro di occasioni per studiare non ne hanno avute molte.

A Kiev, dove è nata, Alina appena quindicenne ha iniziato a lavorare in un supermercato, ma i soldi non bastavano mai. Era bella, lo è anche adesso che ha passato i 55 anni, con quel trucco leggero e le mani curate, senza tempo. Anche i mariti si frequentano, e così la domenica, Svetlana spesso organizza un pranzo per tutti e quattro: gli zakuski sono il suo piatto forte, ha imparato a cucinarli quando viveva dalla nonna, a Soči, sulle rive del Mar Nero, in Russia.

Quando la mattina di giovedì 24 febbraio è arrivato l’annuncio della guerra, Alina e Svetlana, davanti al solito caffè, si sono abbracciate a lungo, piangendo. «Avevamo paura per i nostri parenti - dice Alina - per i ragazzi chiamati a combattere, giovani che fino ad allora vivevano per la scuola e gli amici». Con il passare dei giorni, l’angoscia per la sorte delle loro famiglie, russe e ucraine, cresceva. Videochiamate interminabili con le immagini e le voci spezzate delle madri russe, per i loro giovani, giovanissimi (19, 20 anni) partiti nelle fila dell’esercito, che si mischiavano alle lacrime di chi stava scappando e doveva abbandonare senza avere una meta la propria casa.

Per giorni si sono raccontate delle ultime telefonate, dei messaggi disperati di chi voleva resistere, nascosto negli scantinati. Poi si abbracciavano e piangevano, prima di riprendere a occuparsi della casa, della nonna che le osservava e come tutti noi, si sentiva impotente.

Nelle ultime settimane, tutto il suo tempo libero Alina lo ha speso per dare una mano a coordinare gli aiuti da inviare attraverso i corridoi che si aprivano verso l’Ucraina.

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