Ma avete visto in che stato sono ridotte le Mura a nord? Urge una ripulitura
Dal baluardo di Sant'Agostino a Valverde l'intero fronte è coperto da piante infestanti alte anche decine di metri
di Wainer Preda
Chissà cosa penserebbe Girolamo Priuli, al tempo Doge di Venezia, dello stato in cui si trovano le Mura di Bergamo Alta, costruite con tanta fatica dai suoi uomini. Sarà l’emergenza Covid (quasi passata, a dire il vero), sarà che là dietro sono meno evidenti, ma le fortificazioni del lato nord, quello che guarda su Valtesse e Monterosso per intenderci, sono in condizioni pietose, deturpate e talvolta oscurate dalla vegetazione. Dal baluardo di Sant’Agostino fino a quello di Valverde, quasi l’intero fronte è ricoperto da sterpaglie di ogni genere, che fanno a pugni con una città che vorrebbe dirsi “turistica”.
Quel che non poterono gli eserciti poté la flora, verrebbe da dire. Singolari presenze arboree proliferano e s’inerpicano sui bastioni, manco fossero soldati ottomani, fino a spuntare dal muretto superiore e dai parapetti dell’Ottocento. Piante e rovi alti decine di metri. Tanto che in alcuni tratti, la muraglia ha cambiato praticamente colore, diventando verde o marroncino devasto.
Eppure il 31 luglio del 1561 è una data che i bergamaschi dovrebbe erigere a festa cittadina. Da quel giorno in avanti Bergamo cambia volto, proprio grazie alle Mura erette dai veneziani a nostra difesa. Le progettano l’ingegnere militare fiorentino Bonaiuto Lorini, al servizio della Serenissima, insieme al collega Francesco Horologi e al marchese Sforza Pallavicino. Hanno in mente una fortificazione mastodontica. Lunga 6,2 chilometri. Alta fino a 50 metri. Imponente. Maestosa. Inespugnabile. Quattordici baluardi, due piattaforme, trentadue garitte, cento bocche da fuoco. E poi due forti, quattro porte monumentali, due polveriere, una miriade di sortite, vani sotterranei, passaggi e cunicoli. E infine un arsenale nella Rocca, difeso da torrione e da mura che, detto per inciso, non versano in uno stato molto diverso dalle altre.
Insomma, un capolavoro assoluto d’ingegneria militare. Sopravvissuto per seicento anni a invasioni, guerre, terremoti e scossoni e persino due conflitti mondiali. Le Mura venete ci hanno resi famosi in tutto il mondo. Nell’immaginario collettivo, prima del dannato Covid, Bergamo era la città della ciclopica cinta muraria. Quella dichiarata patrimonio dell’umanità dall’Unesco nel 2017. Quella costruita demolendo 250 edifici di cui otto religiosi, fra cui la cattedrale di Sant’Alessandro e il convento di Santo Stefano. Quella per cui sono state fatte sloggiare centinaia di famiglie. Quella che ha richiesto il lavoro di quasi quattromila guastatori, trecento tagliapietre, centocinquanta muratori e cinquanta falegnami, oltre a cinquecento soldati.
Ebbene, a fronte a questo ben di Dio storico e architettonico, che farebbe la fortuna turistica ed economica di qualunque città, le nostre Mura settentrionali oggi spuntano dalla florida vegetazione come fossero le rovine di una civiltà perduta del Centro America. L’ultima pulizia risale al 2018. (...)