Medici e infermieri: «Il Covid ci ha reso peggiori: narcisi e arroganti»
Tanta sofferenza non ha generato una vita personale e sociale più attenta agli altri. «Fra i giovani è cresciuto l'uso di ansiolitici e antidepressivi. E l'isolamento»
di Paolo Aresi
«È una vicenda strana questa del Covid e delle sue conseguenze a livello psichico, di comportamento. Dopo quei due mesi terribili del marzo e dell’aprile 2020, tutti pensammo che avrebbero potuto esserci dei risvolti positivi dopo questa sofferenza. Uscì la canzone di Robi Facchinetti e ci credemmo tutti in una rinascita fondata su buona volontà, su una consapevolezza nuova delle cose veramente importanti della vita. Ma non è andata così».
Sono parole di un medico, Roberto Orlandi, uno di quei medici che si sono trovati in prima linea durante la pandemia, sebbene curare gli infettivi non fosse propriamente il loro mestiere. Quei medici bardati di camici, occhiali, mascherine fino a sembrare astronauti, che stavano venti ore al giorno in ospedale e poi non tornavano nemmeno a casa a dormire per non infettare i propri cari. Con Orlandi e con altre persone del mondo sanitario abbiamo cercato di capire che cosa sia successo dopo il Covid da un punto di vista sociale e psicologico. Siamo cambiati? Come siamo cambiati in questo anno e mezzo di sofferenza e di lockdown?
Le testimonianze raccolte non sono entusiasmanti, anzi. Continua Orlandi: «Chi ha lavorato su questo fronte, in quei due mesi famosi, non può essere contento di come vanno le cose. Non parlo dei “no vax” che hanno atteggiamenti irrazionali, sui quali è difficile confrontarsi. Parlo delle tante persone che pure non essendo no vax non danno peso al pericolo del contagio e adottano comportamenti scorretti rispetto all’uso delle mascherine, al creare assembramenti... Questo non va bene, perché la battaglia non è finita, anche se ora ci troviamo in buona posizione».
Orlandi sa bene che lockdown, mascherine e vaccini hanno risparmiato la vita a centinaia di migliaia di persone perché questo coronavirus è micidiale e senza contromosse avrebbe fatto di mezza Italia una Nembro o una Alzano. Soprattutto fra le persone anziane, ma non soltanto. In questo modo, con grandi fatiche, abbiamo contenuto i lutti. «E poi c’è l’aspetto dei comportamenti “normali”. Pensavamo a un miglioramento, invece no. Invece nella gente noto più pretese, più aggressività, anche arroganza. Difficile dire perché. È come se molte persone, insieme ai nonni, avessero seppellito anche la lista con le priorità vere della vita. Non so. Mi sembra che l’egocentrismo, ma anche l’isolamento vero, quello interiore, delle persone sia cresciuto».
Il punto di vista di Orlandi è condiviso dalle altre persone intervistate, persone che hanno affrontato la furia del Covid e che oggi, come i reduci della guerra, appaiono deluse. Come se avessero combattuto contro il nemico, nel nome di un mondo migliore. Il nemico è in ritirata, ma il mondo migliore non è arrivato.
Romina Zanotti fa l’infermiera, si occupa dell’assistenza domiciliare e delle cure palliative. Ogni giorno corre su e giù per la Val Seriana per dare una mano alle persone in difficoltà, prima di tutto ammalati e anziani. Quando è arrivato il Covid, Romina si è trovata in mezzo alla tempesta, ha combattuto a mani nude, andava nelle case, curava, consigliava, consolava. Nei suoi paesi ha visto morire decine di persone. Molte decine.
«Credo che possiamo parlare ormai di periodo post-Covid sebbene la malattia non sia stata del tutto sconfitta. Ma tra vaccinati e persone che sono state malate e poi sono guarite, credo che in Bergamasca si possa parlare quasi di immunità di gregge. Anche se serve prudenza, ancora, e la mascherina non è da mettere nel cassetto. Dal punto di vista sociale, io vedo che esiste soprattutto da parte dei giovani un bisogno di uscire, di andare, di sfogarsi. Vedo anche che le situazioni di fragilità si sono aggravate: chi tendeva a isolarsi prima, si è isolato del tutto. Sono aumentati i disturbi alimentari, bulimia, anoressia. È cresciuto in particolare fra i giovani l’uso di ansiolitici e di antidepressivi, credo che a livello nazionale per gli ansiolitici, le benzodiazepine, si registri un incremento del 12,5 per cento rispetto allo scorso anno. È vero, anche i comportamenti aggressivi sono cresciuti, io credo che abbiano a che vedere con la paura. Anche gli adulti hanno più difficoltà a gestire le emozioni e questa difficoltà diventa un’ansia, una difficoltà di vivere la realtà con equilibrio. Credo che un buon antidoto sia il contatto con la natura, infatti le nostre valli sono piene di villeggianti, anche case che da anni vedevo chiuse, sono state riaperte».
Severino Frizzi è titolare dell’omonima farmacia, fa questo lavoro da più di trent’anni. «Il Covid non ci ha aiutati, non ci ha migliorati. Le persone in questi mesi sono diventate più ansiose, più aggressive. Non so dire, certo la paura, la sofferenza di questo anno e mezzo. Ma forse c’è qualcosa di più. Forse l’idea che non tutto è sotto controllo, che non siamo così forti... È cresciuta la fragilità, si sente la rabbia. Un esserino così piccolo che nemmeno lo vedi può ucciderci, evidenzia la nostra debolezza. Io penso che anche questo ci metta in crisi. Qui in farmacia lavoriamo tanto, sì, gli psicofarmaci si vendono di più di prima, senza dubbio, ma non saprei dare dei numeri».
«Mi sono fatto l’idea che siamo una società in difficoltà, che il coronavirus ha reso ancora più fragile. No, di certo non è successo come negli anni della Ricostruzione del Dopoguerra, no. Non c’è quella bella spinta morale che mi raccontavano i miei genitori, che ho letto nei libri, che ho visto nei film. Vedo ansia, paura, aggressività. Viene qui gente a chiedere il Green Pass e poi vedo che non ha fatto le vaccinazioni... mah. Quando lo faccio notare cadono dalle nuvole, dicono che si sono magari sbagliati. E poi ci sono i no-vax... che posso dire? Dico che certamente i vaccini possono dare delle conseguenze, io ho avvertito debolezza per un certo periodo. Ma è un dovere farlo, prima di tutto per gli altri. Ma con i no-vax non si ragiona».