75 posti scoperti, e aumenteranno

Medico sotto casa addio. Non ci sono i sostituti (e lamentarsi purtroppo è inutile)

Molti hanno lasciato in anticipo, esasperati dalle scartoffie. La soluzione? Infermieri e segretari in aiuto e il lavoro in gruppo

Medico sotto casa addio. Non ci sono i sostituti (e lamentarsi purtroppo è inutile)
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di Andrea Rossetti

Ormai da mesi, in Bergamasca si parla di «emergenza medici»: ben 42 ambiti territoriali sono carenti e a fronte di continue “uscite” ci sono sempre meno “entrate”. In altre parole, sempre più dottori lasciano la professione senza che ci siano altri professionisti pronti a prendere il loro posto. Definire questa situazione «emergenza», però, non è corretto. Non si tratta di una situazione imprevista, straordinaria. La carenza di medici di famiglia nella nostra provincia è ormai cronica. Un problema la cui soluzione non è certo immediata.

I numeri (preoccupanti)

Per meglio capire il quadro, bisogna partire dai numeri. Attualmente, la Bergamasca conta 618 medici di medicina generale, di cui 568 titolari e 50 provvisori. Come ha spiegato Massimo Giupponi, direttore Ats Bergamo, a L’Eco, mediamente la nostra provincia ha sempre contato 660 medici e quasi mai ha raggiunto il numero massimo consentito di 766. Concretamente, quindi, mancano circa una cinquantina di medici. Il problema è che il dato di dottori operanti sul territorio, da qui a fine anno, calerà ulteriormente.

A oggi, sono 75 i posti scoperti, con dodici medici che hanno lasciato o lasceranno il loro incarico entro fine anno per raggiunto limite di età, fissato a settant’anni, e altri che probabilmente lasceranno per altri motivi. Basti pensare che a fine settembre Ats contava già ben 85 medici di medicina generale “cessati” dall’inizio dell’anno. Escludendo i 12 settantenni, altri 73 hanno lasciato per altri motivi. Alcuni sono andati in pensione (dopo i 62 anni è consentito loro farlo), altri erano medici provvisori, altri ancora hanno preferito cambiare attività.

Alla ricerca di soluzioni

«Non è semplice indagare le cause singole, ma quelli che cambiano lavoro sono veramente pochi», commenta Guido Marinoni, lui stesso medico di base e presidente provinciale dell’Ordine dei medici. La realtà, quindi, è che i medici di famiglia sono sempre più “vecchi”, molti di loro vanno in pensione e non ci sono giovani che prendano il loro posto. «È difficile recuperare - ammette Marinoni -. E non è una cosa che, purtroppo, può essere fatta in qualche settimana».

Dato il crescente malcontento delle persone e le rimostranze degli amministratori locali, Ats Bergamo ha deciso di affrontare il problema creando delle “task force” ad hoc composte da rappresentanti delle Asst, sindaci, funzionari di Ats e medici di base, tese a trovare delle soluzioni. Soluzioni che, però, non potranno mai dare una risposta soddisfacente a coloro che vorrebbero un ritorno a dieci, venti anni fa, quando praticamente ogni Comune aveva un dottore e ogni cittadino aveva un medico sotto casa.

«Troppa burocrazia»

«Sì, è proprio così. Purtroppo, se vogliamo migliorare le cose, anche i pazienti devono cambiare prospettiva»: il dottor Raimondo Giuliana è uno dei medici che ha lasciato la professione quest’anno per raggiunti limiti di età. E, con molta amarezza, ammette che la situazione non è affatto facile. «Il nostro era il lavoro più bello del mondo. E lo è ancora, se solo fosse ben organizzato. Le cose, però, sono peggiorate nel tempo. La cura dei pazienti è diventata sempre meno prioritaria, mentre sono aumentate le carte da firmare, i documenti di cui prendere visione. La burocrazia ha preso il sopravvento. Anche il rapporto con i pazienti è cambiato: una volta si veniva per avere un consiglio; oggi invece si viene per chiedere di firmare una carta che permetta di fare una visita specialistica. Ci metti meno a fare una firma, ma perdi il senso della professione».

È della stessa opinione anche il dottor Eugenio Rampinelli. Anche lui ha lasciato la professione da poco, ma prima del raggiungimento dei limiti di età: «Ero stanco dopo quarant’anni passati in prima linea. Ho sempre lavorato cinque giorni su cinque, da mattina a sera, con libero accesso e su appuntamento, andando a casa dei pazienti. Una volta era così: reperibilità 24 ore su 24, sempre al servizio della comunità. Era stancante, ma anche gratificante. Poi, col tempo, il lato medico è diminuito sempre più, mentre la burocrazia è cresciuta costantemente. E siamo arrivati a questo punto. Fare il medico mi è sempre piaciuto, ma le cose erano cambiate troppo...».

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