Omicidio di via Novelli a Bergamo, la verità del padre di Patelli: «Dovevano proteggerlo, nessuno lo ha fatto»
La versione dell'uomo su quanto accadde quel giorno a suo figlio si ricollega al tema sicurezza nell'area, per lui si è difeso
La vicenda dell'omicidio di via Novelli a Bergamo, quando Alessandro Patelli, giardiniere di 19 anni, uccise davanti casa sua il tunisino Marwen Tayari di 34 anni, va a ricollegarsi al tema dell'attuale situazione in zona stazione. Succede con un video pubblicato oggi (giovedì 15 febbraio) su Facebook dal padre, Giambattista Patelli: con il ricorso in Cassazione contro la sentenza d'Appello, che condanna il figlio a 21 anni di carcere per omicidio volontario aggravato, adesso vuole raccontare un'altra verità. La sua.
L'incontro fuori dal palazzo
«È importante che spieghi cosa è successo realmente quella domenica - ha cominciato il signor Patelli -. Alessandro si alza quella mattina per andare al bosco a lavorare con le arnie delle api (a Trescore, ndr). Si veste, scende. Sotto casa nostra, nella zona della stazione, bivacca abitualmente gente sulle scale e all'entrata del palazzo». Una situazione, a quanto pare, abbastanza comune e certo la cronaca ultimamente non manca di riportare di soggetti problematici, che recano disturbo a residenti e commercianti.
«Stavolta, Alessandro è stato sfortunato, si è trovato sull'uscio di casa un pregiudicato e spacciatore, molto noto qui in stazione, che era ubriaco e drogato - e con un coltello in tasca, che non fu poi usato -. Esce, scavalca queste persone sui gradini, quell'uomo era lì con la moglie e le due figlie. Il tipo, molto violento e aggressivo, gli rimprovera qualcosa, ma lui non ci fa caso e va alla moto: si accorge però di non avere il casco, lo ha dimenticato in casa». Il giovane - ha continuato il padre nel filmato - dunque parcheggia il motorino davanti al palazzo, mentre quello continua ad aggredirlo verbalmente, ma lui lo ignora.
La coltellata letale
Prende il casco, scende di nuovo e quello gli viene incontro, minacciandolo con una bottiglia in mano. «Allora, Alessandro tira fuori il coltellino per tenerlo lontano, l'altro si mette a ridere, alza la maglietta e gli fa vedere il torace completamente rivestito di cicatrici da arma da taglio: panico totale, vi lascio immaginare chi non lo avrebbe provato davanti a un soggetto così. Se non che all'improvviso il tipo gli fa lo sgambetto e gli salta addosso, lui comincia a tirare calci e fendenti. Uno è andato a segno e per lui è stato letale».
Occorre ricordare che, per l'Accusa, l'imputato la prima volta che era uscito di casa avrebbe urtato una delle figlie di Tayari, che lo avrebbe rimbrottato con un successiva risposta da parte del ragazzo. Sceso per la seconda volta, avrebbe avuto già il casco indossato, la lama in mano, e avrebbe sfidato il tunisino.
Dopo l'omicidio arriva Giambattista, il giovane gli va incontro e spiega che l'immigrato voleva ammazzarlo, arrivano anche i carabinieri ed il ragazzo è completamente nel panico. «Io non ho mai voluto lasciare nessuna dichiarazione, perché mi sono detto che c'erano le forze dell'ordine e la giustizia. Purtroppo non è andata come pensavo, perché nonostante le testimonianze della gente del quartiere alla fine è stato condannato».
«Non voleva ammazzare nessuno»
Nella sentenza i giudici hanno sottolineato una «spregiudicatezza con la quale ebbe, in definitiva, a ricercare un pretesto per poter sfogare la propria pulsione violenta, cui non è risultata affatto estranea una qualche deplorevole intolleranza di natura razzistica».
Il signor Patelli, però, non ci sta che del figlio venga dato il ritratto di un razzista che quel giorno voleva intenzionalmente uccidere la vittima: «Non è un assassino, non voleva proprio ammazzare nessuno. Lo scopo di questo video è far saper come sono andate le cose, al di là di narrazioni politicamente corrette o meno. Alessandro non è un assassino, andava protetto, nessuno lo ha protetto. Dobbiamo farlo noi, quindi aiutatemi a salvare Alessandro».