Protesta dei lavoratori in UniBg contro la riforma del ministro Anna Maria Bernini
La Cgil, insieme ad altri sindacati, critica la situazione in cui si trovano le università italiane e, in particolare, quella di Bergamo

In occasione della visita del ministro dell'Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, che alla fine non si è presentata, la Cgil insieme ad altre sigle sindacali ha indetto un'assemblea ieri (martedì 20 maggio) all'Università di Bergamo per criticare lo stato attuale degli atenei italiani e, in particolare, quello della nostra città.
La riforma ministeriale e la crisi degli atenei
A suscitare le principali perplessità, la proposta di Bernini di riformare il pre-ruolo universitario, che secondo loro «rischia di istituzionalizzare ulteriormente la precarietà, introducendo nuove figure contrattuali frammentate e instabili, come i “professori aggiunti” e le borse di ricerca junior e senior». Ma di mezzo ci sono anche le lamentate carenze significative di personale, i blocchi alle progressioni di carriera, carichi di lavoro a loro giudizio insostenibili, diffusa precarietà, congelamento delle retribuzioni e assenza di politiche di valorizzazione professionale.
«La riforma proposta dalla ministra Bernini - ha commentato la Cgil in una nota diffusa in giornata - non è una risposta credibile né sostenibile: aumenta la precarietà, disarticola ulteriormente il sistema universitario e allontana giovani ricercatori e ricercatrici da percorsi di carriera stabili e dignitosi. Per questo chiediamo un aumento strutturale e stabile del finanziamento pubblico alle università, un piano nazionale di stabilizzazione del personale precario, sia accademico che tecnico-amministrativo, oltre al blocco dell’introduzione di nuove figure contrattuali precarie.
Domandiamo inoltre una riforma realmente partecipata, costruita insieme a tutte le componenti della comunità accademica, e non imposta da gruppi ristretti scelti dall’alto. La ricerca è un lavoro. L’università è un bene comune. Continueremo a mobilitarci, proporre e difendere un’idea di università pubblica, promotrice di pace, equa, stabile, accessibile e di qualità per tutte e tutti».
I numeri del sindacato
Come mai il sindacato, insieme a Cub, Adi Bergamo, collettivo LeP, Uni+ e Rsu del personale tecnico-amministrativo, è così contrariato dall'attuale situazione? A tal proposito, la sigla ha snocciolato alcuni dati relativi a quelle che sarebbero le sostanziali problematiche del settore. Negli ultimi anni, il Fondo di finanziamento ordinario (Fffo), che è un pilastro del finanziamento degli atenei, è stato progressivamente ridotto e sarebbe previsto un taglio di oltre settecento milioni di euro entro il 2027.
«Queste scelte - ha proseguito il sindacato - compromettono gravemente la capacità delle università di garantire qualità nella didattica, continuità nella ricerca, stabilità occupazionale e servizi essenziali per studenti, studentesse, lavoratori e lavoratrici». Nel 2024, l’Università di Bergamo ha subito una riduzione del Ffo pari al 6 per cento rispetto all’anno precedente. «Considerando il peso centrale di questo fondo rispetto ad altri canali di finanziamento, non si tratta di una diminuzione trascurabile».
A ciò, si aggiungerebbe una gestione di bilancio fortemente orientata al saldo positivo e alla riduzione delle spese, che starebbe producendo gravi conseguenze. Criticità che colpiscono tutte le componenti universitarie, una crisi che viene definita «strutturale» e a cui si aggiunge la proposta del ministro, che rischierebbe per la Cgil di istituzionalizzare ancor di più la precarietà, introducendo nuove figure contrattuali frammentate e instabili.
«La riforma Draghi (Legge 79/2022) ha introdotto i nuovi contratti di ricerca, con maggiori tutele, ma questi sono rimasti largamente inapplicati per l’assenza di finanziamenti strutturali - ha spiegato la sigla -. I fondi attuali, inclusi quelli del Pnrr, coprono solo pochi contratti per ateneo». A Bergamo, il personale precario (esclusi i dottorandi) è pari a 326 unità, contro 387 strutturati (professori ordinari, associati e ricercatori a tempo indeterminato). Il personale precario rappresenta il 45,7 per cento del totale.
A confronto con altri atenei italiani, simili per numero di studenti, l’UniBg per la Cgil presenterebbe «un rapporto lavoratori-studenti fortemente deficitario», con 37 studenti per ogni docente (la media italiana è 29 a 1) e 58 studenti per ogni dipendente tecnico-amministrativo (la media italiana è 29 a 1). «Si tratta - ha concluso - di una situazione più grave rispetto alla già critica media nazionale».
Mi chiedo, cosa ci si aspetti, da persone, che coprono cariche istituzionali, ministeri, senza esperienza nel campo. Persone, che sono lì, solo ed esclusivamente, per scaldare la poltrona, e percepire un sacco di denaro. Quanti esempi, nel governo di questo paese.