Reato di epidemia colposa configurabile anche in forma omissiva, le motivazioni
Sono state pubblicate le spiegazioni della Cassazione circa la propria decisione di aprile, che cambia lo scenario giuridico in merito alla gestione della pandemia nel 2020 e alle inchieste

Il 10 aprile scorso, le Sezioni unite della Corte di Cassazione avevano emanato un'importante sentenza relativa alla gestione della pandemia del 2020: con tale pronuncia, la Corte ha confermato che il reato di epidemia colposa in forma omissiva è configurabile, mettendo quindi un punto alle precedenti due pronunce (2017 e 2021) che si fondavano solo sul significato letterale del reato di epidemia colposa inserito nel Codice penale e che prevedeva cioè la punibilità solo nel caso in cui un soggetto avesse materialmente diffuso il virus.
A distanza di tre mesi e mezzo da allora, lunedì 28 luglio, le Sezioni unite hanno poi depositato le motivazioni di quella pronuncia, rafforzando ulteriormente l’impatto della decisione: secondo la Corte, il reato di epidemia ha oggi una forma libera, non più vincolata alla mera diffusione materiale del virus, ma estendibile anche a condotte omissive, ovvero all’omissione di atti dovuti da parte delle pubbliche amministrazioni.

«Si tratta di un passo importantissimo - ha commentato l’avvocato Consuelo Locati, legale del team che assiste i familiari delle vittime del Covid insieme ai colleghi Giovanni Benedetto, Luca Berni, Alessandro Pedone e Piero Pasini -. Nelle motivazioni, che abbiamo letto, dopo l'analisi del caso specifico, le Sezioni unite allargano la questione ponendo l'accento sulla tutela della salute pubblica e sulla mancata esecuzione di atti fondamentali che in Italia sono demandati agli organi amministrativi all'interno del Ministero della Salute e alla Protezione civile».
Tra le omissioni ritenute rilevanti dalla Corte figurano: la mancata distribuzione dei dispositivi di protezione individuale (Dpi), l’assenza di formazione del personale sanitario per affrontare emergenze e la mancanza di una corretta informazione del rischio alla popolazione. Si tratta degli stessi elementi che hanno costituito il nucleo della maxi indagine della Procura di Bergamo, che ha coinvolto 21 persone tra politici e tecnici, e che ancora oggi prosegue a Roma grazie all’opposizione presentata dagli avvocati dei familiari delle vittime, con l’imputazione coatta di alcuni alti dirigenti del Ministero della Salute dell’epoca.
«La decisione delle Sezioni unite - prosegue Locati - conferma la ragionevolezza e la fondatezza dell’azione giudiziaria intrapresa fin dal 2020. È un precedente che riscrive la narrazione giuridica di quanto accaduto in Italia durante la pandemia e rafforza anche la nostra azione in sede civile presso il Tribunale di Roma. Questa pronuncia ha un valore importante anche per il giudizio pendente avanti la Corte Europea dei Diritti dell'uomo in una fase cui giungono, lo sottolineiamo, solo il 5 per cento dei ricorsi presentati».
Soddisfazione anche da parte dei familiari delle vittime del Covid riuniti nell’Associazione #Sereniesempreuniti, che «vedono finalmente riconosciuto il fondamento delle loro denunce, avviate sin dal 2020, in un percorso difficile ma necessario di verità e giustizia per chi non c’è più».