Lo studio del Mario Negri

Remuzzi chiarisce la ricerca sul Covid: «Bergamaschi Neanderthal? È stato un equivoco»

Il professore spiega che i geni ereditati, che hanno reso micidiale l'infezione da Covid, non sono esclusivi della Bergamasca

Remuzzi chiarisce la ricerca sul Covid: «Bergamaschi Neanderthal? È stato un equivoco»
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di Paolo Aresi

La conferenza stampa di presentazione, nella sede della Regione Lombardia, della ricerca “Origin” dell’Istituto Mario Negri sugli aspetti genetici dell’epidemia di Covid ha suscitato clamore e anche polemiche. In sintesi, la ricerca, su un campione di 1.200 bergamaschi, ha evidenziato che alcuni geni ereditati dai Neanderthal avrebbero avuto un ruolo importante nella gravità dell’infezione.

Sul tema sono intervenuti alcuni scienziati che hanno ridimensionato la portata della scoperta e soprattutto hanno sottolineato come gli esiti non pongono in luce il perché l’epidemia sia stata così devastante nel territorio bergamasco: per stabilirlo sarebbero stati necessari studi analoghi in altre zone d’Italia. Sull’argomento abbiamo intervistato il direttore del Mario Negri, Giuseppe Remuzzi.

Professore, corre voce che siamo stati la provincia più colpita in Italia dal Covid perché siamo dei Neanderthal, cioè perché abbiamo ereditato una buona parte dei loro geni. Ma è vero?

«No, non è vero, questo è un equivoco. Il nostro studio ha confermato che alcuni geni che l’umanità odierna ha ereditato dai Neanderthal sono associati alla malattia grave. In alcuni soggetti questi geni sono presenti, in altri no».

Ma solamente a Bergamo?

«No. Lo studio lo abbiamo fatto a Bergamo, ma se lo avessimo effettuato a Codogno o a
Lodi probabilmente avremmo ottenuto lo stesso risultato. L’eredità Neanderthal riguarda tutti, non soltanto i bergamaschi».

Quindi il problema del perché proprio a Bergamo l’epidemia si sia scatenata con quella violenza resta aperto.

«Non lo sappiamo. Lo studio non aveva affatto l’obiettivo di stabilire perché in una determinata area della provincia di Bergamo ci fossero stati tanti casi di Covid-19 e tanti casi severi. Questo per il momento nessuno è ancora riuscito a stabilirlo».

Come è stata condotta la ricerca?

«Abbiamo visto che chi ha sofferto per un Covid severo, magari con polmonite interstiziale e ricovero in rianimazione, spesso aveva degli stretti congiunti, genitori o fratelli, pure gravemente ammalati o addirittura morti per Covid. Così si è pensato che la gravità del virus fosse legata a fattori genetici. Abbiamo coinvolto l’intera comunità bergamasca e raccolto dati clinici e storia familiare di quasi diecimila persone. Ne abbiamo selezionate 1.200 e li abbiamo divisi in tre gruppi omogenei: 400 persone non si erano infettate, 400 avevano avuto la malattia in forma leggera e 400 l’avevano sofferta in maniera grave. Abbiamo studiato i diversi Dna delle persone dei tre gruppi».

Si tratta di un numero enorme di geni.

«Abbiamo studiato centinaia di migliaia di polimorfismi, cioè di “varianti di geni” e ci siamo concentrati su 130 mila che governano l’ingresso del virus nelle cellule, 24 mila riguardavano invece la risposta immunitaria e 16 mila erano legati alla intensità della malattia e alle sue complicazioni. Sono circa nove milioni di variazioni per individuo. Abbiamo scoperto che una sola regione del genoma, cioè dell’insieme del patrimonio genetico di un essere vivente, è risultata più decisiva delle altre nel rendere grave la malattia» (...)

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