Direttore del Mario Negri

Remuzzi: «Guardate cosa succede nei Paesi dell'Est e capirete quanto vale vaccinarsi»

Senza i vaccini anche da noi sarebbe una strage. Perché la terza dose? Perché adesso? Perché alcuni vaccinati si ammalano? Ecco le risposte

Remuzzi: «Guardate cosa succede nei Paesi dell'Est e capirete quanto vale vaccinarsi»
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di Paolo Aresi

Il dottor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, scienziato di fama internazionale, è molto concreto. Dice: «Vada a guardare i numeri dei Paesi che hanno vaccinato molto o vaccinato poco e li confronti, vedrà che cosa significa il vaccino. In Romania nell’ultima settimana ci sono stati mediamente 264 morti al giorno, in Bulgaria 136, in Italia 61. Ora bisogna pensare che la Romania conta 19 milioni di abitanti e la Bulgaria non arriva a 7 milioni. Noi siamo 60 milioni. È chiara la differenza?». E chiara, chiarissima. Basta una piccola moltiplicazione: in Bulgaria il numero di morti per Covid è doppio rispetto all’Italia, ma il numero va poi moltiplicato per dieci, per via della popolazione. Quei 136 morti diventerebbero 1360 se la Bulgaria avesse, come l’Italia, 60 milioni di abitanti.

È una differenza enorme.

«Sì, è una differenza enorme e dà l’idea di che cosa sarebbe successo anche in Italia se non avessimo vaccinato l’ottanta per cento della popolazione. Ripetiamo fino alla nausea che con il Covid non si scherza, che le vaccinazioni sono state un miracolo della medicina».

Prima si parlava di una sola dose, poi di due, adesso di tre. Perché?

«Perché tante cose non possiamo saperle perché non c’è stato il tempo per verificare effettivamente il comportamento del sistema immunitario. Adesso è passato circa un anno dall’avvio delle primissime vaccinazioni e abbiamo potuto studiarne bene gli effetti. Abbiamo scoperto che la prima dose dei vaccini ha un’efficacia di sei mesi. Non potevamo saperlo prima. Nei sei mesi il primo vaccino protegge nel senso che è possibile contrarre la malattia, ma con sintomi non gravi. Poi bisogna fare un secondo vaccino. Abbiamo verificato che dopo otto mesi le due vaccinazioni davano una protezione dell’82 per cento sulle persone sotto i 65 anni e del 73 per cento per le persone sopra i 65 anni. Con la terza vaccinazione il nostro sistema immunitario risponde al virus in maniera migliore e di maggiore durata. Osservando e analizzando i dati che arrivano da Israele, il Paese che ha iniziato per primo le vaccinazioni, ci siamo resi conto che la terza dose va fatta a cinque o sei mesi dalla seconda».

Perché non prima?

«Perché l’abbondanza di anticorpi specifici potrebbe innescare un processo autoimmune, una degenerazione. Bisogna fare attenzione».

Perché non dopo?

«Perché l’efficacia della seconda dose man mano si indebolisce ed è bene non correre rischi».

La mappa della diffusione del Covid in queste ultime due settimane. In marrone scuro le aree dove l'epidemia sta colpendo in maniera più forte, mentre in giallo e in verde sono colorate le zone con un'incidenza bassa. L'Italia è tra i Paesi a rischio basso ad eccezione della zona est

La Germania e l’Inghilterra hanno vaccinato molto, però i numeri del Covid sono saliti di nuovo.

«Perché hanno vaccinato e poi hanno detto “liberi tutti, si fa tutto liberamente, come prima”. Non è così, la vaccinazione va bene, però bisogna prestare sempre attenzione. Le mascherine sono ancora importanti, le resse sono da evitare, soprattutto al chiuso. Bisogna pensare che, per esempio in Italia, abbiamo ancora otto milioni di persone non vaccinate che sono veicolo del virus, come del resto i bambini. Per questo bisogna vaccinare ancora di più, coprire tutta la popolazione».

Che cosa pensa del Green Pass?

«Penso che sia necessario e che debba diventare ancora più rigido. Questo penso come medico. Poi la decisione è politica. Ma se vogliamo debellare il virus, non possiamo sederci proprio adesso che siamo a buon punto. L’Italia ha dato dimostrazione di grande capacità e rapidità di intervento, di ottima organizzazione, dobbiamo continuare. Dobbiamo evitare di riempire gli ospedali anche perché dobbiamo curare decentemente le persone che hanno altre patologie. Non esiste soltanto il Covid. È importante che la pressione negli ospedali rimanga bassa, in modo da recuperare tutto quello che è rimasto indietro in diciotto mesi di emergenza: interventi chirurgici, cure, esami, analisi...».

Ma la libertà dell’individuo...

«La Costituzione sancisce il diritto alla salute e al benessere di ogni cittadino. Nel momento in cui decido di non vaccinarmi metto a rischio anche le altre persone, la mia libertà deve cedere il passo a quella collettiva, comunitaria. Mi perdoni, ma se il semaforo è rosso, la mia libertà di attraversare l’incrocio deve inchinarsi alla regola. La libertà non è mai assoluta, sarebbe assurdo. In questo periodo, purtroppo, abbiamo a che fare con un virus veramente micidiale che può colpire tutti, la nostra libertà viene dopo. Dobbiamo stabilire regole affinché il virus uccida il meno possibile. E tutti dobbiamo adeguarci, rispettarle».

Anche i vaccinati però si ammalano.

«Sì, succede, ma in una proporzione molto diversa. E, soprattutto, in maniera assai meno grave. Secondo uno studio fatto in Inghilterra e pubblicato su Lancet, la più prestigiosa rivista in materia di ricerca medica, i soggetti vaccinati riducono di due terzi la possibilità di finire in ospedale qualora si ammalassero; inoltre il rischio di dover affrontare il “long Covid” si riduce del cinquanta per cento. Insomma, la malattia si risolve in quattro settimane. Ci sono eccezioni, lo conferma lo studio di Lancet, che riguardano soprattutto soggetti anziani o di particolare fragilità che, nonostante la vaccinazione, non riescono a ottenere una risposta immunitaria adeguata a combattere il virus. Ma sono eccezioni».

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