Saffioti: «Questa riforma sanitaria regionale fa male agli ospedali e al territorio»
«Ospedali e territorio hanno la stessa importanza, ma sono due cose diverse. Ognuno deve fare il suo mestiere»
di Ettore Ongis
Psichiatra e politico di lungo corso, Carlo Saffioti conosce come pochi altri la sanità regionale. Per diciotto anni, ben quattro legislature, è stato eletto in Consiglio regionale e dall’inizio alla fine ha fatto parte della Commissione sanità, della quale è stato anche presidente. Nell’era di Formigoni era anche responsabile regionale di Forza Italia per la Sanità.
Il Papa Giovanni azienda ospedaliera o Azienda sociosanitaria territoriale?
«Azienda ospedaliera».
Senza alcun dubbio?
«Senza alcun dubbio, ma come il Papa Giovanni dovrebbero tornare anche tutti gli altri a essere aziende ospedaliere».
Perché?
«Perché aver fatto dipendere la sanità territoriale dagli ospedali non è stata una trovata intelligente».
Si riferisce alla fatica fatta dal Papa Giovanni per gestire San Giovanni Bianco?
«Ricordo ancora le discussioni con l’ex sindaco di San Pellegrino, Vittorio Milesi. L’ospedale di San Giovanni era stato accorpato all’azienda ospedaliera di Treviglio, mentre Milesi e altri esponenti della Val Brembana volevano che entrasse nella giurisdizione degli ex Riuniti (ora Papa Giovanni). L’ospedale di Bergamo era in una fase di cambiamenti e secondo me non aveva la testa per occuparsi di un altro ospedale. Per Treviglio, invece, San Giovanni Bianco sarebbe stato un avamposto. In Regione si decise per Treviglio, ma poi, dopo le proteste, l’ospedale di Valle passò sotto al Papa Giovanni. Oggi penso che rimpiangano Treviglio».
Gli Spedali Civili di Brescia hanno scelto di rimanere Asst prendendosi cura del territorio. Perché per il Papa Giovanni dovrebbe essere diverso?
«Perché questa logica non conviene né al Papa Giovanni né al territorio. La sanità territoriale ha la stessa importanza della sanità ospedaliera, ma sono due cose diverse. Far dipendere la prima dalla seconda diventa penalizzante sia per il territorio che per l’ospedale. Il Papa Giovanni non può avere la testa su tutti i problemi di un grande ospedale e, in contemporanea, su quelli del territorio, anche perché la sua utenza va ben oltre il territorio bergamasco».
La riforma Formigoni teneva distinti ospedale e territorio, ma poi si è dimenticata del territorio, puntando tutto sugli ospedali, sia pubblici che privati.
«La legge “31” aveva puntato molto sulla sanità ospedaliera, non c’è dubbio, mettendola in condizioni molto valide, con risorse appropriate. Con la libertà di scelta, l’equiparazione tra pubblico e privato, la parità di diritti ma anche di doveri, si è fatto a mio avviso un bel passo in avanti».
Sì, ma la sanità territoriale?
«Bisognava dedicarle attenzione, in questo la nostra riforma, la “31”, è mancata. Ma la sanità territoriale ha un problema alla radice: si fonda sui medici di famiglia, che hanno un contratto nazionale, non dipendono cioè dalla Regione, ma dal Sistema sanitario nazionale. Mettere insieme queste due realtà e farle collaborare è un’impresa quasi impossibile. Non so come, ma questo problema di fondo andrà risolto».
Se il Papa Giovanni tornasse a essere Azienda ospedaliera, come risolverebbe il problema del territorio?
«Queste sono le questioni introdotte dalla riforma Maroni, l’origine sta lì. Anche perché fu approvata senza poi destinare le risorse necessarie: è rimasta a metà strada. La riforma Moratti ha mantenuto lo stesso impianto, caricando ancora di più gli ospedali. Un bel problema». (...)