Resterà Asst

La riforma della Regione esclude il Papa Giovanni dall'olimpo degli ospedali

Solo Niguarda riconosciuto Azienda Ospedaliera. Gli ex Riuniti si dovranno occupare anche di medici di famiglia e Case della Comunità

La riforma della Regione esclude il Papa Giovanni dall'olimpo degli ospedali
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di Paolo Aresi

Quindi sembra proprio ufficiale: il Papa Giovanni, il glorioso ospedale di Bergamo, eccellenza in Italia, resterà Azienda Sociosanitaria Territoriale. Non sarà Azienda Ospedaliera, non potrà concentrarsi sulla sua attività di alta specializzazione, ma dovrà occuparsi del territorio, cioè dei medici di base, delle nuove Case della Comunità, sorta di poliambulatori o consultori sparsi sul territorio, un corpo intermedio tra il medico di medicina generale e l’ospedale vero e proprio.

Il Papa Giovanni ha la possibilità di chiedere alla Giunta della Regione Lombardia di venire ammesso allo stato di Azienda Ospedaliera. E all’interno della grande struttura bergamasca ci sono tanti medici e professionisti che spingono in questa direzione. Ma il destino del Papa Giovanni sembra segnato: la Giunta regionale pare non abbia alcuna intenzione di istituire altre aziende ospedaliere al di fuori del comune di Milano (in particolare dell’ospedale di Niguarda). Non gli Spedali Civili di Brescia, non il Sant’Anna di Como, non il Papa Giovanni di Bergamo. Magari, in futuro, direbbe la Giunta, si vedrà. Oggi no.

A qualcuno questa scelta sembra realizzare due categorie, una serie A e una serie B degli ospedali. Questa decisione ancora non è stata digerita a Bergamo, dove la speranza rimane accesa. Il grande timore è che un ospedale di eccellenza come il nostro dovendo occuparsi di mille cose finisca con il disperdere tutte le sue risorse, le sue energie. E addio alta specialità, addio eccellenza. Questa decisione così sofferta per noi bergamaschi va a sommarsi a questi due anni di fatiche, di dolori, di emergenza dovuta alla pandemia. Va ad aggiungersi alle carenze di personale, alla mancanze di risorse. Va ad alimentare la frustrazione di chi lavora in uno dei luoghi più ammirati della sanità nazionale.

Il dottor Stefano Fagiuoli è molto conosciuto a Bergamo, non soltanto perché è responsabile del dipartimento di Medicina del Papa Giovanni, ma anche perché è una persona che non ama nascondersi dietro un dito. Dice: «Ci sono carenze di personale oggi come due anni fa. Ma ovviamente non si poteva pensare che il problema sarebbe stato risolto in questi due anni. Il punto è che bisogna riorganizzare i servizi in modo che gli ospedali e il territorio non siano due galassie distinte e separate. Si tratta di due aspetti essenziali dello stesso servizio, che però obbediscono a regole diverse. Da una parte gli ospedalieri, cioè medici dipendenti da un’azienda, che hanno un orario di lavoro, che fanno turni e notti. Dall’altra, sul territorio, medici che sono liberi professionisti convenzionati con la Regione, che stanno a casa al sabato e alla domenica che non sanno i turni di notte che cosa siano».

Fagiuoli insiste su questo punto: bisogna riorganizzare la sanità lombarda, bisogna creare un corpo sanitario unico, che si muova in maniera sincrona. Ma con regole che siano comuni. Sono necessari corpi intermedi tra il pronto soccorso e il paziente. Le Case della Comunità ipotizzate nella riforma potrebbero costituire una risposta, delle strutture aperte giorno e notte, con medici che turnano come in ospedale. «Ma è fondamentale - dice Fagiuoli - che l’inquadramento sia unico, altrimenti il sistema non può reggere». Non può reggere anche perché i medici sono pochi.

Continua il primario del Papa Giovanni: «Abbiamo sbagliato la programmazione come Paese e adesso paghiamo, è inevitabile. Ma occorre modificare i criteri. Se la situazione non cambia, la carenza di medici ospedalieri diventerà sempre più forte, ci sarà una migrazione verso realtà meno impegnative. Per esempio, tanti medici si sono trasferiti nel settore privato. Anche qui viviamo una situazione che, a mio avviso, penalizza il servizio sanitario complessivo. Viviamo una condizione ibrida in cui il privato si convenziona ed eroga servizi per il Servizio sanitario pubblico, va a fare concorrenza agli ospedali. Ma è una concorrenza che non fa bene, perché - anche qui - le regole sono diverse: se domani una clinica decide di assumere venti cardiologi lo può fare, nel giro di poche ore. Un ospedale deve rispettare ogni passo burocratico, preparare i diversi bandi e via dicendo, ci arriverà forse in nove mesi. Se una clinica privata decide di acquistare una Tac nuova, lo fa subito, al volo. Per l’ospedale pubblico bisogna mettere in moto una macchina autorizzativa... Quando compri la Tac nuova, il privato è già passato al modello successivo. Insomma, questo sistema sanitario così frammentato, così sbilanciato, non può funzionare, non utilizza bene le poche risorse che ci sono. E, per quanto riguarda il Papa Giovanni azienda sociosanitaria che dovrà sobbarcarsi tutto il territorio... staremo a vedere. Avremo i mezzi per affrontare una sfida del genere?».

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