Salviamo Santa Elisabetta! A Peia l’SOS per l’antica chiesetta del Cinquecento
L'oratorio è in stato di abbandono da decenni. Il parroco don Alberto Gervasoni lancia l'idea di un comitato per reperire fondi
di Giambattista Gherardi
Una testimonianza importante della vita sociale e religiosa di un’intera Valle, per la quale urge da tempo un importante recupero strutturale. Don Alberto Gervasoni, parroco di Peia dal 2013, l’ha definito un sogno nel cassetto: veder tornare all’antico splendore la chiesa di Santa Elisabetta a Peia, che da decine di anni versa in condizioni di abbandono e degrado.
«Sono a Peia da oltre sette anni - ha scritto don Alberto sul notiziario parrocchiale La Voce di Peia - e debbo dire che l’attenzione verso questa chiesa non è mai venuta meno, anche quando su suggerimento della Curia di Bergamo, mi è stato ribadito che questo edifico è un immobile da alienare. Sono rimasto deluso e senza parole. Sottolineo che la Chiesa di Santa Elisabetta è la chiesa madre della nostra comunità, come la basilica di San Giovanni in Laterano a Roma è la chiesa madre ove ancora oggi vi è la cattedra del Vescovo di Roma, ovvero il Papa. La chiesa di Santa Elisabetta è la più antica della nostra terra, non possiamo e non dobbiamo lasciarla cadere a pezzi... Sarebbe cosa da pazzi».
«In questi anni più volte Santa Elisabetta è stata aperta per permettere visite guidate - scrive ancora il don -, anche se al suo interno non è rimasto nulla di prezioso se non l’architettura e la storia che scaturisce da questo luogo. Dopo l’ultima apertura per l’ennesima visita (ottobre 2020, nell’ambito delle iniziative promosse da Promoserio e Distretto “Le Cinque terre della Val Gandino” ndr) sono stato “richiamato” per come e per quanto vi è stato accumulato al suo interno; negli anni la grande navata è stata riempita di tutto facendo della chiesa una sorte di “discarica” dove tutto di anno in anno è stato accumulato senza nessun criterio».
Una visita guidata dell'ottobre 2020 all'interno della chiesa di Santa Elisabetta a Peia
L'esterno e l'interno del nuovo portone di ingresso
Grazie al lavoro paziente di alcuni volontari, l’aula è stata svuotata e la chiesa è attualmente libera. Evidente il degrado strutturale, basti pensare al crollo di una porzione della volta del presbiterio, l’abbandono totale del piano superiore ove vi era la possibilità di accogliere anche i viandanti, lo stato di conservazione delle facciate e il tetto che versa in condizioni non buone. «Sarebbe molto bello - scrive ancora don Alberto - un giorno entrare di nuovo in questa Chiesa e rimanere a bocca aperta ammirando la semplicità e la bellezza della sua architettura, come hanno fatto le parecchie persone che nei giorni della pulizia sono passate, alcune ricordando che lì erano stati da piccoli per partecipare alla Santa Messa».
Le origini della chiesa di Santa Elisabetta risalgono al 1500. Nel verbale della visita di San Carlo Borromeo (1575) si legge che «l’oratorio è già stato in parte edificato ma risulta essere ancora aperto in facciata». La data di inizio costruzione è incerta, ma in chiesa è custodita una pietra che riporta scolpita la data 1517, ancora ben visibile. Un anno non banale: il 31 ottobre 1517 Martin Lutero, iniziatore del protestantesimo, affisse infatti l'elenco delle tesi sul portone della chiesa di Ognissanti del castello di Wittenberg.
Adiacente la Chiesa vi era un romito, un luogo dove i mercanti che percorrevano la Via della Lana potevano ricevere ospitalità. Nei secoli, la chiesa, vista la posizione fuori dall’abitato, assunse anche la funzione di lazzaretto durante le pestilenze. Le dimensioni sono ragguardevoli: una navata di 142 metri quadrati, con un’altezza al colmo di 7,80 metri cui si aggiungono 25 metri quadrati di presbiterio e i 24 metri quadrati della sacrestia.
Un piccolo passo significativo è stato completato lo scorso anno con la realizzazione di un nuovo portale in larice antico. Il legno è stato offerto da Clemente Savoldelli di Gandino, mentre il lavoro certosino dei maestri falegnami Stefano e Alberto Bertocchi di Mobil Peia (conservata l’originale ferramenta) è stato sostenuto da anonimi benefattori. Importante per l’installazione il supporto di Gianni Cattaneo e Roberto Pezzoli. «Di certo - conclude don Gervasoni - serve uno sforzo non indifferente a livello economico. Sarebbe bello dare vita a un “comitato” che abbia a cuore la questione, che studi le possibili soluzioni, che si interessi di recuperare fondi per non perdere la storia della nostra terra, per non dire un domani “lì sorgeva la chiesa di Santa Elisabetta e ora c’è un cumulo di macerie”».
La Parrocchia in questi anni ha sostenuto le spese per i mutui dedicati al nuovo oratorio e quelle per la radicale ristrutturazione della Parrocchiale. Nella chiesa principale del paese è anche conservata la preziosa pala della chiesa di Santa Elisabetta. Si tratta del “Compianto su Cristo Morto” di Francesco Zucco. Un’opera realizzata nel 1626, poi trasferita nella parrocchiale (altare dell’Addolorata) a fine '800, proprio per le precarie condizioni della chiesa di Santa Elisabetta. Chissà che un giorno non possa farvi ritorno.