La polemica

Tanti (troppi) morti sulle montagne. Ecco le vere croci di cui preoccuparsi

C'è maretta nel Cai dopo le uscite dell'ex direttore editoriale. Intanto, in Bergamasca, sette vittime in sei mesi, alcuni erano alpinisti esperti

Tanti (troppi) morti sulle montagne. Ecco le vere croci di cui preoccuparsi
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di Paolo Aresi

Tante le croci in montagna, anche in questi mesi in cui si sono verificati molti incidenti, con feriti gravi e con persone decedute. Mentre infuriava la polemica sulla presenza di grandi crocifissi sulle vette, veniva spontaneo pensare alle tanti croci, ai tanti morti, di questi giorni. Nel frattempo, la polemica divampata a causa della dichiarazione del direttore editoriale del Club alpino italiano, Marco Albino Ferrari, si è prima sopita e poi riaccesa.

Il dirigente del Cai nazionale aveva espresso la sua contrarietà all’installazione di nuove croci e simboli sulle nostre montagne, ma non aveva mai parlato di rimozione di quelle esistenti, sebbene avesse poi sottolineato come il simbolo rappresenti ormai qualcosa di «anacronistico» e «divisivo».

Il presidente del Cai, Antonio Montani (in nomen omen) aveva poi spiegato che «rimuoverle sarebbe come cancellare una traccia del nostro cammino». E questo è il tema.

In anni di cambiamenti forti nella società, di un modo nuovo di considerare anche la montagna, è bene riflettere sia sulle croci sia sul senso stesso dell’escursionismo, dell’alpinismo, della tutela dei territori montani. A nostro avviso, occorre una ricerca del senso del nostro “andare in montagna”, ma anche dell’immergersi in una cultura che non è ancora del tutto omologata a quella della città.

Più di una vittima al mese

In questi primi sei mesi dell’anno, in Bergamasca, hanno perso la vita durante escursioni o arrampicate sette persone, più di un morto al mese. Un numero preoccupante che va ad aggiungersi agli incidenti fatali del 2022.

Lo scorso anno fu terribile in tutta Italia: nella Penisola si registrarono 504 persone decedute, con un aumento del 13,5 per cento rispetto al 2021. Di questi, oltre la metà erano escursionisti; un altro nove per cento riguardava ciclisti morti in montagna sulla mountain bike; il 7,8 per cento è morto mentre faceva sci alpino; il 5,4 mentre faceva alpinismo vero e proprio e il 4,2 per cento mentre si trovava in montagna a cercare funghi.

Esiste anche una classifica regionale dove svetta il Piemonte con il 20,2 per cento dei morti, seguito dalla Lombardia con il 14,2; dal Trentino con il 13,3 per cento; dall’Alto Adige con l’11,5; dal Veneto con l’11,4. Un altro dato è importante: nel solo Trentino i morti sono stati sessantatré nello scorso anno mentre nel 2019 erano stati quarantadue.

Anche i dati della montagna rispecchiano quanto sembra stia accadendo in molti campi, dagli incidenti sul lavoro agli annegamenti in fiumi e laghi, agli incidenti stradali. Si sta verificando un aumento rispetto agli anni pre-Covid, un fenomeno di cui si è parlato, che si è cercato di analizzare. È stato messo in evidenza un comportamento frenetico, ansioso, come se si dovesse recuperare un terreno perduto. O come se la paura della morte avesse ingenerato una fame di vita smodata.

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