Il dopo Ubi

Troppi disagi per clienti e dipendenti: Bper e Intesa non hanno (ancora) capito Bergamo

Confindustria, Ascom, risparmiatori e bancari in coro: così non va bene. Intesa trascura i "piccoli", mentre Bper non sembra adeguatamente attrezzata

Troppi disagi per clienti e dipendenti: Bper e Intesa non hanno (ancora) capito Bergamo
Pubblicato:
Aggiornato:

di Paolo Aresi

«I clienti non sono contenti, si lamentano? È vero. Quattro mesi dopo la migrazione siamo ancora in alto mare, anche se le onde si sono un poco calmate. Ma sono state settimane terribili, io lavoro in banca da tanti anni, sempre con il pubblico: non mi sarei mai aspettato qualcosa del genere. Ma lo sa che alcuni di noi dipendenti Ubi passati a Intesa sono letteralmente “saltati”? C’è chi ha cominciato a prendere psicofarmaci, chi ha avuto attacchi di panico».

A quattro mesi dalla scomparsa della “nostra banca”, le acque non si sono placate. A tanti livelli. Il primo è quello del cliente, il secondo quello dei dipendenti che con i clienti hanno direttamente a che fare, il terzo è quello della presenza della banca nella realtà sociale ed economica bergamasca.

Nelle prime settimane si è scatenato il caos, soprattutto per quei clienti che non hanno particolare dimestichezza con i sistemi informatici oppure per chi aveva esigenze speciali. Gente che non riusciva a pagare le bollette, oppure che non riceveva i versamenti, che non riusciva a fare funzionare l’home banking, la banca attraverso Internet. Intesa disponeva (e dispone) di un call center che risponde ai clienti inviperiti, ma non sempre le indicazioni sono dirimenti, risolutrici e i problemi si trascinano per giorni e giorni.

La vecchia sede di Bergamo della Popolare, ma anche le altre filiali, si sono riempite di una folla di correntisti imbufaliti, tanti di loro clienti storici che hanno anche urlato in mezzo alla sala che erano stufi e che avrebbero cambiato banca. Gente che magari aveva il conto alla Popolare da mezzo secolo. «I piccoli clienti - continua a raccontare un impiegato ex Ubi -, quelli che noi chiamiamo il settore “retail”, per la vecchia Popolare erano fondamentali; per la Ubi avevano ancora una buona importanza. A Banca Intesa penso non interessi per nulla, o quasi. Anche per questo credo abbiano ceduto agenzie e filiali periferiche senza problemi a Bper. Intesa guarda ad altro».

Clienti scontenti, impiegati sull’orlo di una crisi di nervi (e anche oltre). Dice un altro impiegato della sede: «Qui siamo in sessanta dipendenti, tutti impegnati con il pubblico, avremmo dovuto avere con noi un manipolo di esperti mandati da Intesa, una ventina di persone, una ogni tre impiegati, in modo da aiutare in maniera concreta. Ci voleva una “task force” di questo genere per un paio di mesi almeno. Invece ci hanno mandato sei persone che si sono fermate per meno di un mese. Un assistente ogni dieci impiegati. Il risultato è stato che anche loro diventavano matti e non ci potevano mai spiegare le cose per bene. Sono rimasta impressionata da tanta superficialità: una banca con centomila dipendenti non aveva venti persone preparate da mandarci? Possibile? No, credo che sia stato un comportamento superficiale. O irrispettoso verso la nostra realtà bergamasca».

Un’accusa forte. La nostalgia per la vecchia Popolare si fa sentire sempre di più. Dice un terzo impiegato: «Vede, non è questione di sistemi informatici diversi. Certo, c’era bisogno di un adattamento, di imparare nuove procedure, certo. È successo anche a noi di Ubi di incorporare altre banche, ma andavamo a insegnare loro con attenzione, senza lesinare né sul tempo, né sugli esperti. Intesa si è comportata diversamente. Sembra che non si sia considerato che Ubi era una realtà complessa, con i conti dell’Inps, i servizi di tesoreria per i Comuni, il ruolo rispetto all’università, le card degli studenti... Poi le cose miglioreranno, si faranno più tranquille. Ma forse questo cambiamento si poteva affrontare diversamente, con maggiore buona volontà».

La “gente comune” si lamenta, eccome. «È la terza volta che vengo in sede per fare un’operazione, ci sono venti persone in attesa e due sportelli aperti. Una cosa impossibile. È questo il rispetto verso il cliente? Penso che cambierò banca. Io sono un piccolo risparmiatore, niente di speciale, mi rendo conto. Spero ci siano delle banche dove il risparmiatore, la persona “normale” conti ancora qualcosa». È lo sfogo di un pensionato che doveva fare un’operazione con delega per il padre anziano.

Uno dei punti di forza della banca bergamasca era l’affezione, l’attaccamento all’azienda e pure alla clientela. Che poi diventava ascolto, considerazione delle esigenze di ciascuno. «Quelli di Intesa ci hanno detto che ancora un po’ e noi di Ubi ai clienti gli garantivamo anche la colazione e la merenda - spiega un funzionario della ex Ubi. - Un po’ è vero, noi ai nostri clienti ci tenevamo molto. La nuova logica è diversa, adesso sembra che i nuovi padroni ci tengano soprattutto ai prodotti, al guadagno. Non è che come Ubi non puntavamo al guadagno, ma dentro in un quadro più ampio dove c’erano anche degli altri valori». (...)

Continua a leggere su PrimaBergamo in edicola fino al 24 giugno, oppure in versione digitale cliccando QUI

Seguici sui nostri canali