Paradosso italiano

Volendo accoglierli con tutte le garanzie, si rischia di lasciare i bimbi ucraini al loro destino

Perché considerare "non accompagnati" anche quelli arrivati con il direttore dell'orfanotrofio o i genitori della casa famiglia in cui vivevano?

Volendo accoglierli con tutte le garanzie, si rischia di lasciare i bimbi ucraini al loro destino
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di Sara De Carli

Ci sono profughi bambini, che l’Italia la stanno già lasciando. Otto minori provenienti dall’Ucraina, ospitati per qualche giorno nella Bergamasca, hanno già lasciato l’Italia insieme ai loro genitori affidatari: hanno voluto essere riaccompagnati in Polonia, spaventati dal fatto che i Tribunali per i Minorenni italiani potessero non riconoscere la validità dei documenti ucraini che affidavano i minori ai due responsabili della casa-famiglia, nominare dei nuovi tutori italiani, dividere il gruppo. Lo stesso timore serpeggia a Bolzano, a Mulazzano in provincia di Lodi, a Capo Vaticano in Calabria. Mentre a Leopoli ci sono decine di minori di istituti che vorrebbero venire in Italia, ma i cui responsabili non partono senza garanzie sul riconoscimento delle tutele.

È il paradosso che sta marcando in questi giorni l’accoglienza dei minori in fuga dall’Ucraina: volendo accogliere con tutte le garanzie, rischiamo di allontanare; desiderando che tutto fosse senza ombre, rischiamo di spingere nell'invisibilità. È il delicato equilibrio, ancora da trovare, fra garanzie e urgenza, rigore delle procedure e concretezza delle vite.

Il nodo è quello dei minori non accompagnati e dei loro tutori. Al 7 aprile, sono 32.220 i minori entrati in Italia dall’Ucraina, in fuga dalla guerra e 1.099 quelli registrati come minori non accompagnati. Fin dai primi giorni il flusso di persone in fuga da questa guerra si è caratterizzato proprio per la presenza dei bambini: sono loro i volti, in primis, che hanno mosso la nostra disponibilità all’accoglienza, tanto che è stato necessario fare subito chiarezza rispetto al fatto che per questi minori non si parla di adozioni né, almeno in un primo periodo, di affido. La gran parte di loro infatti è arrivata nel nostro Paese insieme alla madre o alla nonna, ma fra loro ci sono anche bambini che hanno affrontato il viaggio per la salvezza con parenti, amici o semplici conoscenti.

Le cronache ci raccontano la drammatica scelta di genitori che hanno messo su un treno i figli da soli, con nome, data di nascita e un numero di telefono scritto a penna sulla schiena. In Ucraina, inoltre, prima c’erano 98 mila ragazzini accolti in istituti: per la maggior parte sono orfani sociali, le cui famiglie non riuscivano a garantire cura, assistenza, istruzione. Allo scoppio della guerra, chi poteva è rientrato in famiglia: negli istituti sono rimasti solo i minori per cui era stato documentato lo stato di abbandono ed erano stati già affidati al direttore dell’orfanotrofio piuttosto che ai genitori affidatari della casa-famiglia.

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