L'ipotesi più probabile è la Serie D

Ma adesso che il Parma è fallito che ne sarà di squadra e società?

Ma adesso che il Parma è fallito che ne sarà di squadra e società?
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È durata appena 5 ore la camera di consiglio dei giudici del tribunale di Parma che ha sciolto le riserve riguardanti la situazione del Parma Football Club: la società emiliana è ufficialmente fallita nel pomeriggio di giovedì 19 marzo. È stato quindi disposto l’esercizio provvisorio dell’impresa e sono stati nominati due curatori fallimentari, ovvero i commercialisti Angelo Anedda e Alberto Guiotto. La Corte ha affidato ai due curatori il compito di «riferire al Comitato dei Creditori e al Giudice Delegato sull’andamento della gestione e sull’opportunità della sua continuazione entro il 15 aprile 2015». La sentenza è stata resa nota con la sua pubblicazione sul sito Fallimenti Parma ed è giunta in seguito all’udienza lampo tenutasi nella mattina di giovedì 19 marzo: appena 10 minuti, data anche l’assenza del presidente Giampietro Manenti, arrestato appena 24 ore prima per mano della Procura di Roma, che l’ha accusato di reimpiego di denaro illecito. In assenza del numero uno gialloblu, all’udienza era presente Osvaldo Riccobene, rappresentante del Collegio sindacale: «Abbiamo parlato con i dipendenti e nel pomeriggio incontrerò la squadra - ha detto ai giornalisti fuori dal Tribunale -. Cerchiamo di mantenere i veri valori della società, ovvero alcuni dipendenti, i giocatori, e cerchiamo di mantenere anche il valore patrimoniale di questa società, per gli stessi dipendenti e per il curatore fallimentare. Siamo un caso unico, precedenti non ce ne sono».

 

 

Un sospiro di sollievo. Può sembrare un paradosso, ma la decisione del Tribunale è stata accolta con un sospiro di sollievo. Troppe le ombre che si stavano accentrando attorno al Parma Calcio, passato di mano ben tre volte negli ultimi 3 mesi e mezzo e diventato, non certo per suo volere, oggetto di vicende tragicomiche. Dopo mesi di chiacchiere e prese in giro, Parma torna a respirare. L’esito della sentenza, dopo l’arresto di Manenti, era quasi scontato. Ora la palla passa al sindaco ducale Federico Pizzarotti e agli organi di Figc e Lega, che avranno il compito di organizzare un piano per fare in modo che la squadra possa concludere almeno il campionato in corso. Questo è ritenuto un passaggio fondamentale: portare il club fino all’ultima giornata e alla oramai scontata retrocessione in Serie B, significherebbe tentare di evitare che il Parma sprofondi tra i dilettanti, salvando i titoli sportivi poi da consegnare a un eventuale nuovo compratore, che in questo modo rivelerebbe una squadra professionistica, legittimamente registrata al campionato cadetto.

Salvare il salvabile. A spiegare bene quali sono i possibili scenari che si aprono ora per il Parma Calcio è il giornalista economico de Il Sole 24 Ore, Marco Belinazzo. Fino a poco tempo fa il cosiddetto Lodo Petrucci permetteva di salvare i titoli sportivi di una società di calcio fallita attraverso l’acquisizione del club da parte di un nuovo compratore, che subentrava nella gestione scevra di ogni debito. Ora, abolita la norma in questione, è l’articolo 52 delle Noif (Norma Operative Interne Figc) a prevedere questa opzione, seppur con una serie di limitazioni. La vera novità introdotta dal caso Parma è che, per la prima volta, ci si trova di fronte alla possibilità che Lega e Figc si assumano una responsabilità collettiva per fare in modo che la squadra arrivi a fine stagione, coprendone le spese. La Lega di A, infatti, il 6 marzo ha approvato, con la maggioranza, una delibera che conferma la disponibilità dei club ad aiutare il Parma a proseguire il campionato attingendo al fondo multe. La cifra necessaria è stimata in 5 milioni di euro. Alcune società però, nello specifico Juventus, Napoli, Roma Cesena e Sassuolo, contestano la decisione, chiedendo che prima di dare il via libera all’azione venga presentata una relazione dei curatori fallimentari, in modo tale che sia data una stima più precisa della cifra necessaria. Al momento, infatti, si brancola ancora nel buio.

Le uniche certezze: i debiti. Le uniche certezze sono i debiti accumulati dal Parma. Nella sentenza del tribunale emiliano si leggono infatti i numeri della crisi: complessivamente, i debiti ammontano alla cifra record di 218 milioni di euro. Di questi, 74 milioni di euro di debito sportivo (nel disposto di legge: «di cui 63.039.920 nei confronti dei calciatori tesserati, salvi ulteriori e più approfonditi accertamenti»). Una cifra decisamente più alta dei 56 milioni che erano stato inizialmente stimati. Non sono da meno anche i debiti tributari: 25 milioni, più un milione e 940mila euro verso istituti di previdenza e sicurezza sociale. L'esposizione con le banche è di 10 milioni, mentre sfiora i 20 quella con altri finanziatori. Ai fornitori il Parma deve quasi 36 milioni di euro, mentre alle società controllanti 57 milioni. Il patrimonio netto è un profondo rosso da 46 milioni e 696mila euro. Uno stato di insolvenza «conclamato e irreversibile».

 

 

Gli scenari futuri. Mentre gli organi sportivi competenti si arrabattano nel tentativo di salvare il salvabile (resta la figuraccia, quell’immobilismo imbarazzante di cui già abbiamo scritto), si valutano anche i possibili scenari futuri. A fine stagione, infatti, bisognerà trovare un nuovo proprietario. Il marchio sportivo, con il fallimento, andrà all’asta, mentre i titoli sportivi, e dunque la permanenza del Parma in Serie B, saranno salvi solamente nel caso in cui si trovi qualcuno disposto ad accollarsi i debiti sportivi della società, quei 74 milioni di euro di cui abbiamo detto, che potrebbero scendere a 40-50 milioni di euro attraverso una rinegoziazione. In questa ipotesi, il Parma si ritroverebbe nel campionato cadetto con un nuovo progetto e l’indebitamento sportivo azzerato. Senza però il proprio marchio attuale, che dovrebbe essere eventualmente acquisito all’asta. I restanti creditori (fornitori e finanziatori) potrebbero al massimo attingere alla cifra che i curatori fallimentari riusciranno a racimolare in questi mesi, anche attraverso l’asta dei beni societari. Un’altra ipotetica fonte di entrate, in questo caso, sarebbe il parco giocatori: con questo scenario, infatti, i contratti in essere non verrebbero meno e la società potrebbe fare cassa attraverso le cessioni.

Il problema è solo uno: trovare qualcuno disposto a mettere a disposizione almeno 50 milioni di euro sull’unghia. Molti pensano a quell’Alessandro Proto che, in settimana, si era fatto avanti con Manenti. Le ombre attorno alla sua figura, però, rendono poco probabile una sua candidatura ufficiale. L’ipotesi più plausibile quindi, al momento, è quella del fallimento “totale”, ovvero con il Parma costretto a ripartire dai dilettanti, con una nuova società che acquisirebbe la squadra scevra di ogni debito e libera da tutti i contratti oggi in essere. Secondo i bene informati, in questo caso sarebbe già pronta una cordata di imprenditori locali, messa insieme dal primo cittadino emiliano Pizzarotti. Niente Serie B però, si ripartirebbe dalla D. Secondo Bellinazzo ci sarebbe anche la possibilità di ripartire dalla Lega Pro attraverso una deroga del presidente federale.

I precedenti. Negli anni sono state diverse le società italiane ad aver usufruito del Lodo Petrucci, fallendo ma riuscendo a restare a galla nel calcio professionistico. La situazione del Parma è invece assimilabile a quella vissuta la scorsa stagione dal Bari: entrambe le società sono le prime, dopo diversi anni, a non poter usufruire del Lodo. Il fallimento dei galletti pugliesi arrivò il 10 marzo 2014, ma la squadra giunse comunque a fine stagione, sfiorando addirittura la promozione in A. Anche in quel caso si cercarono dei compratori disposti a salvare i titoli sportivi, cioè la permanenza in Serie B, a patto di assumersi i debiti sportivi. La cosa avvenne grazie a una cordata di imprenditori guidata dall’ex arbitro Paparesta. Tra le squadre più note ad aver invece usufruito del Lodo Petrucci ci sono state Napoli e Torino. La prima fallì il 30 luglio 2004, quando Aurelio De Laurentiis rilevò il club partenopeo scevro da ogni debito, ma riuscendo a tenerlo nei professionisti, precisamente in Serie C1. Il Torino fallì invece il 10 agosto 2005: la squadra aveva appena ottenuto una bellissima promozione in A, ma furono le vicende societarie a conquistare le prima pagine. Le buone nuove non arrivarono mai e i granata furono estromessi dal massimo campionato. Alla fine, Urbano Cairo fu convinto dall’allora sindaco Chiamparino a rilevare la nuova società creata da un gruppo di tifosi e grazie all’applicazione del Lodo Petrucci la squadra fu in grado di ripartire dalla Serie B. Un’ipotesi che al momento sembra pura illusione per il Parma.

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