Arrestato questa mattina

Un enigma chiamato Manenti e il destino del Parma Calcio

Un enigma chiamato Manenti e il destino del Parma Calcio
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Se per i bonifici del Parma il giorno giusto è sempre domani, la Procura di Roma ha preferito intervenire oggi: Giampietro Manenti, patron della squadra emiliana da febbraio, è finito con le manette ai polsi nella mattina di mercoledì 18 marzo, nell’ambito di un’inchiesta che ha portato all’arresto di altre 21 persone con l’accusa di reimpiego di capitali illeciti. L’operazione del Nucleo tributario della Guardia di Finanza di Roma è ancora in corso con perquisizioni, in tutta Italia, nelle abitazioni e negli uffici dei 22 arrestati accusati, a vario titolo, di associazione a delinquere, frode informatica, utilizzo di carte di pagamento clonate, riciclaggio e autoriciclaggio aggravato dal metodo mafioso. Sì, perché l’accusa mossa a Manenti è quella di aver reimpiegato diverse decine di milioni di euro in fondazioni e anche nel Parma, soldi provenienti da un’attività illecita di hackeraggio a banche e carte di credito. Se l’accusa dovesse essere provata, di una cosa bisognerebbe dare atto a Manenti: che i soldi c’erano davvero, anche se era difficile trasformarli da illeciti a leciti.

Nelle ultime settimane, di questo imprenditore residente a Limbiate, nato a Bollate e di origini orobiche, s’è detto di tutto e di più. Le uniche certezze erano la sua piccola società, la Mapi Group, a Nova Gorica, con capitale sociale di appena 7.500 euro, un debito da ripianare da oltre 100 milioni di euro e una quantità di promesse e dichiarazioni diverse tra loro, ma tutte con unico comun denominatore: i soldi arrivano, ma domani. Più passavano i giorni, più c’era la certezza di trovarsi di fronte a un personaggio strano, enigmatico, narrativamente affascinante ma assai promiscuo. Davanti al suo volto rubizzo, mai preoccupato, ci eravamo convinti che le ipotesi fossero tre: la prima è che fosse un Dedalo moderno, un uomo che ha voluto spiccare il volo verso il sole, dimenticandosi di aver le ali fatte di cera. Detto più semplicemente, un parolaio. La seconda, l’ipotesi intermedia, è che fosse un truffatore. La terza, la più grave, che fosse l’uomo scelto per ripulire soldi che arrivano da chissà dove, guadagnati chissà come. Inutile dire che non sta a noi emettere un verdetto e che l’indagine che ha portato all’arresto di Manenti sia solo alle prime battute.

 

 

L’immobilismo calcistico. Davanti ai nuovi risvolti, per quanto ancora fumosi dato che le indagini sono appena iniziate, una domanda sorge spontanea: ma possibile che Manenti abbia potuto “intrufolarsi” nel nostro calcio con tanta facilità? Un quesito che si lega strettamente a un altro punto di domanda: com’è possibile che Lega e Figc non si siano accorti di nulla e si siano trovate costrette ad aprire le porte al primo che passava sotto la sede del Parma? È un problema, quello delle credibilità degli investitori del nostro calcio, che ciclicamente ritorna. Finita l’era delle grandi famiglie “aristocratiche”, era cominciata negli anni ’90 quella degli imprenditori d’assalto (i Tanzi, i Cragnotti, i Cecchi Gori o i Gaucci). Ora, davanti a una crisi che va ben oltre il mero aspetto economico, il nostro pallone è un porto franco, una terra di nessuno, un palco per parolai e chi più ne ha più ne metta. Basterebbe poco, basterebbe anche solo qualche controllo formale, come accade in Inghilterra, con la Football Association che prima di lasciare una “sua” squadra in mano di un nuovo proprietario prevede un iter burocratico fatto di controlli e ispezioni (Cellino ne sa qualcosa).

Davanti all’immobilismo calcistico, le procure sono costrette a rincorre e rappezzare. Lo dimostra proprio il Parma, con la gestione di Tommaso Ghirardi: i bilanci facevano acqua da ogni voce, ma si è dovuto aspettare che intervenisse la Procura e che aprisse un’indagine per bancarotta fraudolenta perché ci si rendesse conto che, forse, qualche colpa c’era.

 

 

Il destino del Parma. Il 19 marzo, intanto, è dietro l’angolo. Questa è la data fissata per l’udienza al Tribunale in cui si deciderà il destino del club ducale. Manenti, fino a lunedì 16 marzo, si mostrava certo che esponendo il suo piano in aula si sarebbe evitato il fallimento, con conseguente salvataggio della società. Addirittura, stando alle parole del dt del Parma Antonello Preiti, Manenti pensava già alla prossima stagione in Serie B, per cui avrebbe voluto sulla panchina il tecnico Pierpaolo Bisoli. Con l’arresto, però, la situazione diventa ancora più grigia: difficile pensare che si possa evitare il fallimento e, soprattutto, che possano essere salvati i titoli sportivi della squadra, ovvero permettere a eventuali nuovi proprietari di prendersi carico della squadra scevra da debiti e ancora nel calcio professionistico. Le poche speranze di trovare nuovi compratori diventano più flebili con il passare delle ore. Nell’ultima settimana si era fatto avanti Alessandro Proto, affarista milanese con tante ombre (forse troppe) che durante un incontro avuto con Manenti lunedì 16 marzo sarebbe arrivato a offrire 500mila euro per l’acquisizione del club. L’attuale presidente, però, pare abbia chiesto 5 milioni, a fronte del suo investimento di appena 1 euro. Trattativa saltata.

Su Tuttosport ha parlato anche Luca Baraldi, ex dirigente del Parma e uomo che ha segnalato la rinascita dei gialloblu dopo il crack Parmalat: «Penso che il Parma dovrà ripartire dalla Serie D e da un progetto fresco, diverso, basato sui giovani del territorio». Per i ducali, dunque, l’ipotesi dell’abisso del dilettantismo è dietro l’angolo.

 

 

Chi è Giampietro Manenti. Torniamo a Manenti. Difficile trovare qualcuno che, in queste settimane, abbia puntato anche solo un euro (quanto lui ha pagato il Parma, ma questa è un’altra storia) sulla possibilità che il Parma riuscisse a salvarsi grazie a lui. Forse i primi giorni sì, ma c’è voluto poco perché anche i più ottimisti abbassassero gli sguardi. 45 anni, residente a Limbiate (Brianza), nato a Bollate e cresciuto a Senago. Di bergamasco ha poco, se non che suo padre era originario di Cividate al Piano e che nella terra orobica, Giampietro Manenti, ha sempre buttato più di un’occhiata. Nel 2013, ad esempio, tentò di acquistare la Pigna: assicurò di aver già fornito le garanzie necessarie ad un notaio, ma tutto andò a finire nel nulla. Nessuno sa bene per quale motivo. Alla Pigna conobbe Fiorenzo Alborghetti, dirigente della società di Alzano e protagonista centrale nella vicenda Parma: Alborghetti è l’uomo che ha fatto da garante all’arrivo in Emilia di Manenti, convocando il Cda ed espletando diverse pratiche burocratiche, prima di tornare ad Alzano, da dove ha risposto alle tante chiamate dei giornalisti con molti «non so» e poche certezze. Manenti ha poi promesso anche l’anno scorso, quando pareva tutto fatto per l’acquisizione del Brescia Calcio: un mese e mezzo di trattative, di dichiarazioni entusiaste («Costruirò un nuovo stadio») e strette di mano, prima di eclissarsi e prendersi i cori di amaro sfottò da parte del tifo delle Rondinelle.

Insomma, un uomo dalle mille promesse e dai pochi fatti. Anche perché, con tutto il rispetto, era difficile pensare che l’uomo a capo di una società chiamata Mapi Group, con sede a Nova Gorica in un’anonima palazzina a due piani e un capitale sociale da appena 7.500 euro, potesse essere in grado di salvare una società con un buco economico macroscopico. Eppure Manenti ha sempre rassicurato: i soldi ci sono, abbiate fede. E forse, alla fine, aveva ragione lui: i soldi c’erano. Peccato fossero sporchi.

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