Le tesi opposte

La questione immigrati e pensioni Sicuri che Boeri abbia ragione?

La questione immigrati e pensioni Sicuri che Boeri abbia ragione?
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Meno male che arrivano gli immigrati. Sembra paradossale crederlo e dirlo, in questi giorni in cui i migranti sbarcano a migliaia sulle nostre coste mentre a nord ci sono paesi che sbarrano le frontiere. Eppure la relazione annuale del presidente dell’Inps Tito Boeri ieri è stata chiara, facendo parlare i numeri: se i flussi di entrata dovessero azzerarsi, avremmo per i prossimi 22 anni 73 miliardi in meno di entrate contributive e 35 miliardi in meno di prestazioni sociali destinate a immigrati, con un saldo netto negativo di 38 miliardi per le casse dell’Inps. In sostanza, per coprire le mancate entrate e far sì che il sistema delle pensioni regga, bisognerebbe inventarsi una manovra suppletiva all’anno.

 

 

Per questo il presidente dell’Inps ha sottolineato che pur sapendo che «l’integrazione degli immigrati che arrivano da noi è un processo che richiede del tempo e comporta dei costi, è necessario avere il coraggio di dire la verità agli italiani: abbiamo bisogno degli immigrati per tenere in piedi il nostro sistema di protezione sociale». I numeri parlano chiaro. È grazie ai giovani immigrati che negli ultimi vent’anni abbiamo visto addirittura crescere la quota dei lavoratori che pagano contributi già prima dei 25 anni.

Ci sono poi altri elementi che renderebbero ancor più importante il contributo che gli immigrati danno al sistema Italia. Ad esempio sono molto più mobili: il turn ovest ha riguardato il 55 per cento di loro, contro il 35 per cento complessivo. Tengono quindi alta la media di chi cambia lavoro molto spesso per migliorare le proprie condizioni. Quindi garantendo più contributi al sistema. La mobilità è anche mobilità geografica, aspetto verso cui i lavoratori italiani mostrano più resistenza. Ma come sottolinea Boeri, «la mobilità paga».

 

 

Non tutti sono d’accordo con le tesi presentate da Boeri. Ad esempio, Alberto Brambilla, grande esperto del sistema pensionistico italiano, collaboratore del Corriere e del Foglio e presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, ha ribattuto che «i dati ci dicono che l'immigrazione è attualmente un costo per lo Stato. D'altra parte l'immigrazione è per sua natura un investimento». Il problema secondo Brambilla è proprio la qualità dell’investimento: in Italia gli stranieri occupano posizioni di bassa manovalanza, con scarse possibilità di migliorare dal punto di vista della formazione. In molti casi poi vige il malcostume del “nero” per cui anche il contributo previdenziale viene meno. La Germania invece ha seguito una strada diversa, investendo sulla preparazione acquisita dagli immigrati nei rispettivi Paesi (non a caso ha aperto le porte soprattutto ai siriani, paese che prima della guerra aveva standard quasi occidentali), e quindi permettendo loro una scalata sociale, con beneficio diffuso per tutti.

Invece in Italia le cosa vanno all’opposto, con grande danno per lo Stato. «La teoria di Boeri» ha ribattuto Brambilla, «è persa in partenza proprio perché è lo Stato italiano a non poter controllare i lavoratori sfruttati nei nostri campi in sud Italia o le tasse che dovrebbero pagare i negozi gestiti da stranieri». In sintesi: meno male che gli immigrati ci sono e fanno i lavori che gli italiani non fanno più. Peccato che lo Stato in gran parte dei casi non se ne accorga…

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