Abbassare la pressione (alta) a 120 potrebbe salvare milioni di vite

Vi proponiamo la traduzione di un interessante articolo apparso l'11 settembre sulla versione online del New York Times, intitolato Lower Blood Pressure Guidelines Could Be "Lifesaving" Federal Study Says e firmato dalla giornalista Gina Kolata. La versione originale la potete trovare QUI.
Dichiarando di avere «informazioni potenzialmente salva-vita», gli ufficiali federali della salute hanno annunciato venerdì 11 settembre che avrebbero messo fine, un anno prima del previsto, al grande studio che stavano portando avanti. E questo perché sono già giunti a conclusioni definitive riguardo alla domanda che i cardiologi si sono posti per decenni: di quanto è necessario abbassare la pressione sanguigna? La risposta è: molto di più di quanto raccomandato dalle linee guida.
Per anni i medici non hanno saputo darci certezze riguardo a quale fossero i valori ottimali di pressione per i pazienti ipertesi. Lo scopo del percorso è sicuramente abbassare la pressione arteriosa, ma di quanto e con quanta aggressività è rimasto a lungo un mistero. Esistono compromessi – legati a rischi ed effetti collaterali dei farmaci – ma ci sono persistenti dubbi riguardo, ad esempio, la necessità di mantenere livelli di pressione un po' più alti soprattutto negli anziani, per favorire l’ossigenazione del cervello. Lo studio in questione ha scoperto che i pazienti in cui l’obiettivo era raggiungere una pressione sistolica inferiore ai 120 millimetri di mercurio – molto più di quanto prescritto dalle attuali linee guida che raccomandano livelli inferiori a 140, 150 per coloro che hanno più di 60 anni – avevano una riduzione di un terzo del rischio di infarto del miocardio, scompenso cardiaco e ictus, e un abbassamento di un quarto della mortalità.
Lo studio, chiamato Sprint, ha assegnato casualmente più di 9.300 uomini e donne, di età uguale o superiore ai 50 anni e ad alto rischio di malattie cardiovascolare o aventi una patologia renale, a due differenti target di pressione arteriosa da raggiungere: inferiore ai 120 mmHg, che è meno di quanto qualunque linea guida abbia mai raccomandato, o meno di 140. Per chiarezza: la pressione sistolica è la più alta dei due numeri che il medico ci dice quando la misura e corrisponde alla pressione sui vasi sanguigni quando il cuore si contrae. Lo studio avrebbe dovuto concludersi nel 2017 ma, considerando i risultati di estrema importanza per la salute pubblica, l’Istituto Nazionale per il Cuore, i Polmoni e il Sangue ha deciso di annunciare i risultati, affermando che l’articolo contenente tutti i dati raccolti verrà pubblicato entro alcuni mesi.
«Questo studio contiene informazioni potenzialmente salvavita» ha dichiarato il dottor Gary H. Gibbons, direttore dell’Istituto, mentre annunciava la sua decisione. Circa 79 milioni di adulti negli Stati Uniti – uno su tre – soffrono di ipertensione, e metà di quelli che ricevono una terapia continuano ad avere livelli di pressione sistolica sopra i 140. «Questo studio rimescolerà le carte», ha aggiunto il dottor J. F. Michael Gaziano, professore di medicina ad Harvard, sebbene non fosse coinvolto nella ricerca. Ha inoltre detto che questo studio avrà lo stesso effetto sul pensiero rispetto a quelli riguardanti l’abbassamento dei livelli di colesterolo, quando per la prima volta mostrarono che, al contrario di quanto pensassimo, più bassi erano i valori, più benefici avremmo avuto. «È una novità eccezionale» ha invece dichiarato il dottor Mark Creager, presidente dell’American Heart Association e direttore dell’Heart and Vascular Center al Centro Medico Dartmouth-Hitchcock, anche lui non coinvolto nello studio: «Servirà da guida e salverà un numero consistente di vite umane».
Se le linee guida verranno cambiate da questo studio – come pensano che succederà gran parte degli esperti di ipertensione – la mortalità legata a infarti e ictus, già in calo, subirà un’ulteriore diminuzione, almeno stando alle parole del dottor Jackson T. Wright Jr., specialista in materia di pressione arteriosa alla Case Western Reserve University e allo University Hospitals Case Medical Center, nonché ricercatore dello studio Sprint. Dal momento che le patologie cardiovascolari rimangono la principale causa di morte negli Stati Uniti, un cambiamento nei target di pressione arteriosa potrebbe modificare la mortalità nazionale in toto.
Lo studio si è addentrato in territori finora inesplorati, tanto che qualcuno s'è anche detto impaurito dai risultati. Una pressione sistolica che si assesta naturalmente intorno ai 120 non è un problema, ma abbassare la pressione di così tanto con metodi artificiali è tutta un’altra questione. Raggiungere un target così basso significa fornire ai pazienti sempre più farmaci, con il rischio che gli effetti collaterali possano contrastare qualunque altro beneficio. Le persone più anziane potrebbero essere le più vulnerabili in questo senso e potrebbero soffrire maggiormente di un tale abbassamento dal momento che solitamente assumono anche altri medicinali per diverse patologie croniche. Potrebbero dunque verificarsi interazioni con conseguenze gravi. Una pressione molto bassa potrebbe inoltre portare a vertigini e cadute. Ma il 28 percento dei soggetti che hanno partecipato a questo nuovo studio avevano più di 75 anni.
Meno di due anni fa, un comitato del National Heart, Lung and Blood Institute era andato esattamente nella direzione opposta. Chi partecipava allo studio aveva come obiettivo una pressione di 140 e di 150 se aveva più di 60 anni. I ricercatori avevano ammesso che nessun dato convincente era stato in grado di mostrare che livelli inferiori avrebbero modificato la sopravvivenza. Fino a oggi gli esperti hanno creduto di fare il massimo possibile per i loro pazienti. L’incidenza di ictus – la più grave conseguenza degli alti livelli di pressione – ha subito un calo del 70 percento dal 1972 a oggi. Il problema principale era che molti pazienti ipertesi non erano trattati correttamente per la loro condizione o non prendevano le medicine. Non è stato sempre facile raggiungere il target pressorio per i partecipanti dello studio. Quelli che dovevano raggiungere livelli inferiori ai 140 assumevano, in media, due farmaci. Quelli il cui obiettivo erano i 120 millimetri di mercurio prendevano invece, in media, tre farmaci. I costi non rappresentano di solito un problema per questi malati dal momento che questi farmaci sono, per il 90 percento, venduti come farmaci generici.
Altro scopo della ricerca era quello di capire se livelli inferiori di pressione arteriosa potessero migliorare le patologie renali e abbassare l’incidenza di demenza tra gli anziani. Si trattava di un’ipotesi ma, d’altra parte, esisteva anche la possibilità che una pressione più bassa si traducesse in un minor afflusso di sangue al cervello e ai reni, con un conseguente effetto deleterio. Questi risultati devono ancora essere analizzati, è stato dichiarato. Ma la dottoressa Suzanne Oparil, specialista in ipertensione all’Università dell’Alabama di Birmingham e co-presidentessa della commissione dell’Heart Institute che aveva suggerito target più alti di pressione sanguigna, ha esultato per la scoperta: «Lo studio sembra molto positivo - ha scritto in un’email resa pubblica -. Siamo entusiasti».
Come per tutti gli studi clinici di una certa dimensione, il risultato di questa ricerca è stato periodicamente esaminato da una commissione per la sicurezza e il monitoraggio. Questo tipo di commissione non è autorizzata a diffondere i risultati di cui viene a conoscenza a meno che essi non siano decisamente positivi o decisamente negativi. In questi casi si ritiene che la cosa più etica e giusta sia porre fine allo studio. Dunque il mese scorso la commissione ha riferito agli amministratori dell’Heart Institute che la ricerca doveva essere fermata. Amministratori e ricercatori hanno osservato i risultati e concordato con loro. Il passo successivo, prima di qualsiasi annuncio pubblico, è stato quello di farlo sapere ai partecipanti dello studio. È stato detto loro che la ricerca si stava concludendo, ma che avrebbero comunque dovuto mantenere la terapia che gli era stata assegnata almeno fino alla prossima visita con un medico, ha detto David Reboussin, professore di biostatistica al Wake Forest Baptist Medical Center e principale ricercatore per il centro di coordinazione dello studio.
Gli studiosi non avevano previsto che lo studio si sarebbe concluso così velocemente dopo solo qualche anno di ricerche: «Sono rimasto molto sorpreso, non solo dagli effetti consistenti che penso potrà avere, ma anche per il fatto che si sia concluso a uno stadio così precoce» ha detto il dottor William C. Cushman, capo di medicina preventiva al V.A. Medical Center di Memphis e membro della commissione direttrice della ricerca. Le persone ipertese non devono andare nel panico, ha aggiunto Reboussin. Non devono correre immediatamente dai loro dottori chiedendo di cambiare immediatamente terapia. L’ipertensione può creare danni molto lentamente: «Nessuno è in imminente pericolo in questo caso».