Pablo Daniel Osvaldo canta al Druso «Il calcio è una m... Ora sono libero»

Celentano è solito dividere il mondo in rock e lento. Pablo Daniel Osvaldo è decisamente rock. Lo è sempre stato, sin da quel lontano gennaio 2006 in cui sbarcò a Bergamo. Zazzera ribelle, occhietto malandrino e sulle spalle tutto l’entusiasmo rivoluzionario di un ventenne che di diventare grande non aveva proprio voglia. E infatti, dentro, Osvaldo si portava la tristezza di quell’infanzia lasciata troppo in fretta nel suo barrio di Buenos Aires. «A Bergamo ho visto per la prima volta la neve. Sentivo freddo. Soprattutto mi sentivo solo, e allora non facevo altro che piangere. Ho chiamato il mio procuratore: “Dove mi hai portato?”. Volevo andare via». Invece restò. E per sentirsi meno solo portò a Zingonia pure la sua fidanzata di allora, Ana, che era già incinta. Cambiò poco, se non che a piangere a quel punto erano in due.
A distanza di dodici anni da quel freddo gennaio, Osvaldo è pronto a tornare a Bergamo. Ne è passato di tempo. Il ragazzetto è diventato uomo. E in questo scorrere inesorabile del tempo ci sono state tante squadre (Bologna, Fiorentina, Roma, Inter, Boca), tante presenze, un buon numero di gol, la Nazionale italiana, litri e litri di birra (ma non solo). E note. Perché Osvaldo ha sempre trovato riparo nella musica, l’unico elemento in cui pare trovare pace. Il suo ritorno a Bergamo, infatti, coincide con un concerto al Druso di Ranica. Appuntamento il 24 gennaio, con lui sul palco. Sì, perché nel 2016, a 30 anni e ancora tante maglie da indossare, Osvaldo ha detto basta al calcio. Ha fondato un gruppo, i Barrio Viejo. Voce, chitarra, basso e batteria, un suono che fonde il rock al blues. Lui, ovviamente, è il puntero, il frontman. All’attivo hanno già un album (Liberaciòn) e ora sono in tour in Europa.

Osvaldo alla Roma

Osvaldo con i Barrio Viejo

Osvaldo in Nazionale

Osvaldo e De Rossi con il primo cd dei Barrio Viejo

Osvaldo con i Barrio Viejo

Osvaldo con i Barrio Viejo

Osvaldo all'Atalanta

Osvaldo al Boca
Qualcuno lo ha descritto un uomo in fuga. Lui sorride con quella faccia da Johnny Depp (ma più bello, dicono) e scuote la testa. «Il calcio è un mondo finto, dove se fai gol sei un dio e se non lo fai sei una merda - ha detto -. E il calcio di oggi è come il reggaeton: una musica di merda che però piace alla gente. È un freddo business, dove nessuno pensa a come stai ogni giorno». Quando giocava, per tutti era un talento annegato nella follia. Oggi Osvaldo sorride, tra un tiro di una sigaretta e un sorso di whiskey, davanti a quei ricordi. E suona. E canta. «La dittatura del risultato è l’ipocrisia più grande. Ora invece sono libero».