FORME, un successo

La diatriba sul formaggio americano che ha vinto a Bergamo, spiegata

La diatriba sul formaggio americano che ha vinto a Bergamo, spiegata
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«Sono maestro assaggiatore di formaggi, esperto assaggiatore di vini, ho un diploma europeo di panettiere e uno europeo di pizzaiolo». Insomma, il dottor Enrico Augusto Semprini ci tiene alle etichette. O almeno a quelle che lo hanno portato tra i sedici giudici top dei World Cheese Awards che si sono tenuti lo scorso fine settimana a Bergamo nell’ambito di Forme. Una sorta di Olimpiade casearia che non poteva trovare casa migliore della nostra terra, da sempre particolarmente attenta a formaggi e dintorni. Il dottor Semprini, che nella vita è professore di Medicina, è però balzato alla ribalta delle cronache per le sue critiche al formaggio vincitore di questa edizione bergamasca della kermesse, ovvero l’Organic Blue Cheese Rogue River Blue della statunitense Rogue Cremery, titolo vinto a scapito del Parmigiano Reggiano stagionato da 24 a 29 mesi della latteria sociale Santo Stefano di Basilicagoiano (Parma): i due hanno ottenuto entrambi cento punti, ma alla fine il presidente della giuria, Nigel Barden, ha detto di preferire l’americano. Questo prevede il regolamento in caso di pareggio. Una vittoria vissuta da qualcuno come una beffa nei giorni in cui Trump introduceva i dazi contro i prodotti italiani (tra cui anche il Parmigiano proprio). E anche dal dottor Semprini, sebbene per motivi diversi.

 

 

Dottore, perché le è andata così di traverso la vittoria del formaggio statunitense?

«Per spiegarlo, devo partire da ciò che è richiesto a un assaggiatore. Posso?».

Certo.

«Bene. L’assaggiatore è obbligato, per formazione, a valutare l’aspetto, la consistenza e gli aspetti olfattivi e gustativi».

E qui non lo ha potuto fare?

«Ho ricevuto solo una pasta del formaggio su un cucchiaino bianco termosaldato. Questo riduce la mia capacità di analisi, mi priva del cinquanta per cento delle informazioni che contribuiscono alla valutazione finale».

Sta dicendo che le regole non erano... corrette, diciamo?

«No, ci mancherebbe. Il regolamento era chiaro: nella valutazione finale, il gusto aveva un peso specifico elevato. Dico solo che da un lato ci sono le regole canoniche dell’assaggio, dall’altra quelle di questo concorso».

In parole povere, dovevate giudicare il più buono?

«Per certi versi. Ma in realtà il sistema è complicatissimo. Ci sono vari step... La annoierei a spiegarglielo. La sostanza è che, tra i formaggi giunti in finale, il gusto è determinante».

E il formaggio americano non era buono?

«Quel formaggio è un erborinato insementato con delle spore di Penicillium roqueforti, la stessa tecnica con cui vengono ottenuti il gorgonzola o lo strachitunt. Ma qui è stato poi avvolto in foglie di vite fatte macerare in un liquore di pere. Quindi il povero assaggiatore, nella fattispecie il sottoscritto, si trova ad avere un aroma alle pere nel formaggio quando questo non fa parte dei descrittori olfattivi del formaggio. A meno che un domani, allevando degli animali solo con delle pere, non si possa ottenere questo risultato».

Aveva perso la sua essenza, intende?

«Da un lato c’era un Parmigiano Reggiano particolarmente “felice”, in cui tutti gli aspetti ispettivi, tattili, olfattivi e gustativi erano di altissima qualità; dall’altra un formaggio in cui vi sono state delle modificazioni del suo carattere tramite un’aggiunta. Non era un...

 

Articolo completo a pagina 9 di BergamoPost cartaceo, in edicola fino a giovedì 31 ottobre. In versione digitale, qui.

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