Il 17 dicembre 2014 è arrivata la sentenza

A 14 anni sulla sedia elettrica Dichiarato innocente 70 anni dopo

A 14 anni sulla sedia elettrica Dichiarato innocente 70 anni dopo
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Per risalire agli albori di questa storia bisogna tornare al 1944, al 23 marzo 1944. Bisogna tornare ad Alcolu, centro abitato della Contea di Clarendon, profonda South Carolina. Bisogna tornare all’epoca in cui una ferrovia tagliava in due Alcolu: da una parte i bianchi, con il loro benessere e la loro Chiesa Battista, dall’altra i “negri”, con la loro povertà e la loro Chiesa dei Battisti Missionari di Green Hill. La chiesa bianca e la chiesa nera. Bisogna tornare a quando il deposito di legname e segheria, che oggi non è altro che un vecchio capannone invaso dalle erbacce, funzionava a pieno regime e dava da vivere alle 2mila anime di Alcolu. 23 marzo 1944 dicevamo: questo fu il giorno in cui George Stinney Jr., un ragazzino afroamericano di appena 14 anni, veniva arrestato con l’infamante accusa di aver fracassato il cranio a Betty June Binnicker, 11 anni, e Mary Emma Thames, 8 anni, due bambine bianche del paese. Stinney, appena 83 giorni dopo, morì sulla sedia elettrica. Divenne il più giovane condannato a morte del XX secolo.

Il 17 dicembre 2014, 70 anni dopo, quando Alcolu è passato ad avere appena 429 anime, il giudice Carmen Mullen della Contea di Sumter, ha dichiarato l’innocenza del giovane Stinney, vittima di «una grande ingiustizia».

 

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George Stinney Jr in mezzo ai volti delle due bambine uccise.

 

I fatti, 70 anni fa. I corpi di Betty June Binnicker e Mary Emma Thames vennero trovati in un canale che attraversava un grande prato nella parte "nera" di Alcolu. Le due bambine, rispettivamente di 11 e 8 anni, erano sparite il pomeriggio prima. Erano andate a raccogliere dei fiori ma non avevano più fatto ritorno. L’intera comunità si era mossa nelle ricerche, anche lo stesso Gorge Stinney Jr. Il ritrovamento straziò gli abitanti: le due piccole erano state prese a sprangate sulla testa e avevano i crani completamenti distrutti. Un omicidio efferato e barbaro, per cui venne subito accusato Stinney, quel 14enne di colore che, secondo le ultime testimonianze, era l’ultimo ad aver visto, insieme alla sorella Aime Stinney, le due bambine ancora in vita. Quello che successe negli 80 giorni seguenti ha gettato una lunga ombra su tutta Alcolu e il South Carolina, un’ombra che è arrivata sino ai giorni nostri. La polizia, infatti, il 23 marzo 1944 andò a casa della famiglia Stinney e, seppur i genitori del piccolo George non fossero a casa, arrestarono il quattordicenne con l’infamante accusa di essere l’assassino.

Nessuno sa con precisione cosa accadde durante l’interrogatorio, perché i verbali, stranamente, sparirono pochi giorni dopo. Ma di certo c’è che un ragazzino di colore si trovò davanti almeno cinque gendarmi bianchi convinti della sua colpevolezza. Sta di fatto che, secondo gli inquirenti Stinney, confessò l’omicidio. Mancavano le prove, mancavano testimonianze, anzi, quelle che c’erano erano a favore del ragazzo, ma non vennero minimamente prese in considerazione. Stinney confessò due volte: una prima volta dichiarando certi fatti, una seconda cambiando la versione, guarda caso seguendo la piega che avevano preso le indagini.

 

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Alcolu, South Carolina.

 

La violenza bianca. Nelle ore successive all’arresto, il padre di George fu licenziato e la comunità bianca tentò di linciare l’intera famiglia Stinney. Fuggirono, lontani, e non gli fu permesso di andare a trovare il quattordicenne, che rimase così solo e impaurito, vittima di una razzismo becero alla ricerca di un mostro da incolpare. Pochi giorni dopo prese il via il processo: una vera e propria farsa. La giuria era composta da 12 uomini, tutti bianchi. Ci vollero appena 10 minuti per arrivare al verdetto: colpevole. Pena, la sedia elettrica. Solo allora i genitori di George poterono andare a trovarlo. Tornarono a casa dai loro altri tre figli piangendo, convinti dell’innocenza del loro piccolo, ma consapevoli che il suo destino era oramai segnato. Si è scoperto, oggi, che molte persone scrissero lettere all’allora Governatore Oil Johnston, che correva proprio in quei giorni per entrare al Senato. La richiesta era di commutare almeno la pena di morte in ergastolo, ma Johnston fu irremovibile. Scriveva: «Potrebbe interessarvi sapere che Stinney uccise la bambina più piccola prima di violentare la più grande. Poi ha ucciso anche lei e ha violentato nuovamente il cadavere. Venti minuti dopo tornò e tentò di violentare di nuovo il cadavere, ma era oramai troppo freddo. Tutto questo lo ha ammesso Stinney stesso». Peccato che le analisi del patologo smentirono ogni violenza sulle bambine. Gli imeni erano ancora integri.

Il 16 giugno 1944, appena 83 giorni dopo il suo arresto, Stinney fu portato sulla sedia elettrica. Il suo volto era troppo piccolo per stare all’interno della maschera necessaria a non carbonizzare il viso e così, alla prima scossa, cadde. I 40 testimoni videro il dolore distruggere il 14enne, fino a deturparne completamente il suo piccolo volto. Quella faccia carbonizzata nella bara è rimasto l’ultimo ricordo dei familiari di George. Stinney Jr. divenne il più giovane condannato a morte del XX secolo.

Un po’ di giustizia. Il fratello e le due sorelle di George non si sono mai arresi. Il dolore li accompagnò per tutti gli anni a seguire e più volte tentarono di far riaprire il caso per ripulire l’immagine della loro famiglia, ma senza successo. Fino al 2004. Quell’anno, infatti, George Frierson, storico locale, decise di fare alcune ricerche sul caso, dopo aver letto un articolo al riguardo. Più Frierson indagava sula vicenda, più si convinceva dell’innocenza di George. Del caso si interessò così anche l’avvocato Miller Shealy, che contattò i parenti ancora in vita di Stinney e decise di portare avanti la battaglia per la riapertura del caso. «Più indagavo, più mi imbattevo in cose orribili» dichiarò al New York Times il legale. Finalmente, dopo aver raccolto abbastanza materiale, Shealy riuscì, nel 2013, a far riaprire il caso davanti alla Corte della Contea di Sumter. Il giudice Mullen ha ascoltato le argomentazioni, sono stati portati testimoni, prove fotografiche, mappe. E, finalmente, il 17 dicembre 2014, il giudice ha emesso sentenza: Stinney era innocente e fu vittima di un processo che non rispettò alcun diritto dell’imputato. Le confessioni gli furono, con tutta probabilità, estorte con la forza.

Oggi, finalmente, la memoria di questo piccolo quattordicenne è stata ripulita. Sua sorella Aime ha pianto a dirotto alla lettura della sentenza. Quelle lacrime che non ha mai potuto piangere sulla tomba di suo fratello, cremato e poi seppellito senza lapide per evitare gesti razzisti sui suoi resti. Come se non fosse mai stato vittima di razzismo in vita sua.

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