Il Dalai Lama ha fatto il suo tempo (lo dice lo stesso Dalai Lama)
Dopo che il governo di Pretoria ha negato il visto al Dalai Lama, per la terza volta in cinque anni, la massima autorità spirituale buddhista ha annunciato al giornale tedesco Welt am Sonntag che «L’istituzione del Dalai Lama ha fatto il suo tempo». Congetturare un legame causale tra i due avvenimenti rimane nell’ambito della pura teoria, eppure non sembrerebbe essere del tutto fuori luogo. Lo stesso Dalai Lama, infatti, aveva detto che la sua carica sarebbe sopravvissuta fintanto che la gente l’avesse ritenuta rilevante. Altrimenti, sarebbe dovuta scomparire. Che la gente, nella fattispecie, si riassuma nelle classi politiche a cui il XV Dalai Lama ha chiesto udienza, non appare del tutto improbabile. Negli ultimi anni, la pressione politica esercitata dalla Cina ha fatto terra bruciata attorno al capo religioso tibetano: nel 2012, in occasione di una visita in Italia, le nostre autorità si sono rifiutate di incontrarlo e la proposta del sindaco di Milano, Pisapia, di dargli la cittadinanza onoraria, aveva suscitato aspre polemiche da parte del consolato cinese. E ancora, quest’anno, il Dalai Lama ha visitato la Norvegia da (quasi) privato cittadino, senza incontrare nessun rappresentante del governo.
Nonostante ciò, nell’ambito del comunicato rilasciato al Welt, il Dalai Lama loda il progetto di riforme avviato dal governo cinese, guidato dal presidente Xi Jinping, dicendosi fiducioso sulla nuova dirigenza di Pechino. «La Cina è talvolta fonte di timore. Tanti leader cinesi credono nel sistema totalitario, così possono fare soldi: ma nel cuore sono buddisti», aveva del resto detto il Dalai Lama in un’intervista rilasciata a Beppe Severgnini per il Corriere della Sera. In Cina i buddisti sono 400 milioni e molti di questi hanno a cuore il Tibet e la condizione dei monaci tibetani, benché non osino dire nulla per motivi politici e di sicurezza. Ha invece criticato il presidente russo Putin, perché ha peccato di eccessivo egocentrismo – e ciò e molto grave, soprattutto per un buddista: «Dapprima è stato presidente, poi premier e poi di nuovo presidente – un po’ troppo. Ciò dimostra che è molto egocentrico: io, io, io!»
Il XV Dalai Lama, dunque, potrebbe essere l’ultimo a rappresentare questa carica, che esiste dal XVII secolo. Eppure, solo pochi mesi fa, a giugno, il Dalai Lama non aveva escluso la possibilità che il suo successore fosse una donna, purché molto attraente, aggiungendo che un «Dalai Lama femmina con una brutta faccia» non avrebbe interessato nessuno. Nell’ambito della stessa intervista, rilasciata a giugno, aveva espresso ammirazione nei confronti di Papa Francesco, per la sua trasparenza e per la chiarezza che esige dai vescovi. E consigliava: «Cambiare fede è molto difficile, è molto più sicuro seguire le proprie tradizioni. Si genera molta confusione. Ma tutto dipende dalla libertà dell’individuo; non bisogna convertirsi per una moda ed è molto importante che non si sviluppino atteggiamenti negativi nei confronti della religione precedente».
Il Dalai Lama, al secolo Tenzin Gyatso, è nato il 16 luglio 1935 da una famiglia contadina nel borgo dell’Amdo, Tibet nord-orientale. Quando aveva solo due anni è stato riconosciuto essere la reincarnazione del defunto XIV Dalai Lama ed è stato portato a Lhasa, nel palazzo di Potala, dove è stato educato e preparato per esercitare la sua funzione di guida politica e spirituale del Tibet. Nel 1959, tuttavia, l’invasione cinese ha messo in fuga il governo, che si è rifugiato a Dharamsala, nello Stato indiano di Himachal Pradesh. Il Dalai Lama ha esercitato le sue funzioni di guida politica fino al 2011, quando si è ritirato, lasciando alla leadership politica tibetana il ruolo di prendere decisioni in merito alla situazione dei compatrioti. L’organizzazione dei monaci tibetani, infatti, è molto efficiente e si avvale anche di un gruppo di studiosi, che il Dalai Lama è certo sapranno supplire alle mansioni finora da lui rivestite rivestite. E che hanno saputo sopravvivere dal 1959 fino ad oggi, sempre sperando nel meglio, pur essendo preparati al peggio.