Ecco perché scuola e università non sono più un ascensore sociale
Fino a qualche tempo fa si poteva ancora dire «studia, che farai carriera». Oggi non è poi così vero. A rivelarlo è un’indagine del Censis pubblicata il 26 giugno. Che sostiene: «Il sistema educativo sta perdendo la tradizionale capacità di garantire opportunità occupazionali e di funzionare come strumento di ascensione sociale». A dimostrarlo sono i dati: solo il 16,4% dei nati tra il 1980 e il 1984 è salito nella scala sociale rispetto alla condizione di provenienza, il 29,5% ha invece sperimentato una mobilità discendente rispetto alla famiglia di origine.
Laureati che fanno lavori da diplomati. La situazione è legata alla condizione sempre più frequente di «overeducation» (cioè il fenomeno per cui un lavoratore occupa un posto di lavoro che richiede un livello di istruzione inferiore rispetto a quello che possiede), che riguarda sia le lauree considerate “deboli”, come quelle in scienze sociali e umanistiche, sia quelle da sempre ritenute “più forti”, come le lauree in scienze economiche e statistiche.
I lavori non qualificati sono gli unici ad essere aumentati negli anni della crisi, dal 2009 a oggi (+16,8%). Per contro, quelli che richiedevano una qualificazione media (per esempio il diploma) sono scesi del 3,9% e quelli per soli laureati del 9,9%. Un diplomato su tre che abbia un’occupazione fa un lavoro dequalificato rispetto al suo titolo di studio. La percentuale sale a quasi il 37 per i laureati.
A proposito dei lavoratori overeducated, Linkiesta, nel luglio 2013, scriveva:
Un overeducated/overskilled guadagna fra il 15 e il 25 per cento meno della media dei laureati, proprio perché lavora in un posto per diplomato e usa poco le competenze acquisite all’università. Se si controlla per le caratteristiche osservate dei laureati, la penalità salariale scende al 12 per cento per l’overeducation e al 7 per cento circa per l’overskilling. Ciò conferma che i sovraistruiti hanno caratteristiche del capitale umano inferiori alla media. E spiega in parte perché guadagnano meno degli altri laureati.
Meno matricole e meno studenti. Il Corriere della Sera identifica, in queste tendenze negative, le ragioni del preoccupante calo di laureati in Italia: tra i 30-34enni sono il 20,3%, contro una media europea del 34,6%:
Rispetto all’anno precedente, nell’anno accademico 2011/2012 si sono registrate circa 9.400 immatricolazioni in meno (-3,3%). Il tasso di passaggio dalla scuola all’università tra i 18-19enni è sceso dal 50,8% del 2009/2010 al 47,3% del 2011/2012. Anche tra chi si iscrive all’università emergono presto segni di stanchezza e disaffezione. Nel 2011/2012 ha abbandonato gli studi tra il primo e il secondo anno il 15,4% degli iscritti alle lauree triennali e il 10% degli iscritti alle lauree a ciclo unico. Solo uno studente su quattro arriva a conseguire il titolo alla fine dei tre anni canonici e il 43,6% si laurea in un corso diverso da quello di immatricolazione. La quota di immatricolati che arrivano a conseguire il titolo triennale è ancora molto bassa, intorno al 55%, mentre nei Paesi dell’Ocse si arriva in media al 70%. Come se non bastasse, chi può permetterselo, all’università si iscrive sì, ma all’estero: tra il 2007 e il 2011, il numero di studenti italiani iscritti in università straniere è aumentato del 51,2%, passando da 41.394 a 62.580.
Questo clima di sfiducia generale verso il mondo della formazione riguarda, naturalmente, anche i gradini più bassi della formazione scolastica. Complessivamente, il Censis ha calcolato che la scuola statale ha perso, nel giro di 15 anni, circa 2,8 milioni di giovani, di cui solo 700mila hanno poi proseguito gli studi nella scuola non statale o nella formazione professionale. Continua il Corriere della Sera:
Nell’anno scolastico 2013/2014 risulta «disperso» nell’arco di un quinquennio il 27,9% dei ragazzi «in formazione», cioè all’interno di un percorso scolastico: circa 164mila giovani. E tra medie e superiori ad abbandonare gli studi sono soprattutto i ragazzi provenienti da famiglie svantaggiate: l’abbandono scolastico tra i figli dei laureati è un fenomeno marginale (riguarda solo il 2,9%), ma sale al 7,8% tra i figli dei diplomati, e interessa quasi uno studente su tre (il 27,7%) se i genitori hanno frequentato solo la scuola dell’obbligo. La scuola fallisce insomma anche la sua funzione di riequilibrio sociale. Complessivamente, si può stimare che la scuola statale ha perso nel giro di 15 anni circa 2,8 milioni di giovani, di cui solo 700mila hanno poi proseguito gli studi nella scuola non statale o nella formazione professionale, oppure hanno trovato un lavoro.